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Quel gran casino dei social

Una ricerca di Kaspersky, condotta su 8500 europei dai 16 anni in su, evidenzia come la maggior parte dei giovani utenti vorrebbe poter cancellare i post che ha realizzato nel 2021. Ma non sa come farlo. Molti hanno incominciato a capire che i like che mettiamo sulle piattaforme di condivisione possono avere un effetto significativo sulla percezione che gli altri hanno di noi.

Quasi 1 dipendente su 3 ha infatti ammesso di aver controllato i profili social dei colleghi, e di averli giudicati sulla base di ciò che hanno trovato. Il 42% degli intervistati ha inoltre affermato di conoscere qualcuno il cui lavoro o la cui carriera è stata influenzata negativamente da un contenuto postato sui social media in passato. Nonostante ciò, quasi un terzo delle persone non ha mai modificato o cancellato i vecchi post dalle proprie bacheche.

Ma se le azioni online possono avere un impatto sulla reputazione delle persone, e persino sulle loro prospettive di lavoro, ce ne accorgiamo quando è troppo tardi. Secondo il 41% degli italiani i post offensivi nei confronti delle persone disabili e quelli che si schierano contro la vaccinazione anti-Covid 19 sono potenzialmente i più pericolosi per le prospettive di lavoro o per le relazioni sociali.

Seguono l’utilizzo di un linguaggio transfobico (37%) e le posizioni negazioniste sui cambiamenti climatici (31%). In Italia poi c’è una forte sensibilità verso gli animali: il 66% degli intervistati ritiene fastidiosi e inopportuni i post che rappresentano crudeltà verso gli animali.
La percezione di sé che nasce dalla propria presenza online costituisce un problema per molte persone: il 38% degli utenti afferma che il proprio profilo social non lo rappresenti in modo autentico.

Così il divertimento si tramuta in angoscia, paura di essere tagliati fuori, di non piacere abbastanza. I social sfruttano la psicologia spicciola delle persone e la voglia di esserci, di essere visti, di essere amati (Il mostro mite, Raffaele Simone, 2010). Ma è il conflitto la molla che ci tiene attaccati allo schermo con tutti gli effetti che conosciamo: casse di risonanza, effetto bandwagon, bolle informative.

Ormai abbiamo accumulato una letteratura consistente sul tema e anche i saggi divulgativi ne parlano in maniera precisa. Testi come Gli Obsoleti di Jacopo Franchi spiegano come l’utente non sia padrone del proprio profilo e che sono gli algoritmi e i moderatori che decidono cosa si può vedere e cosa no.

Disinformatia di Francesco Nicodemo e La macchina dello storytelling di Paolo Sordi descrivono il potere narrativo dei social media che mette all’asta desideri e bisogni degli utenti. Liberi di Crederci di Walter Quattrociocchi come e perché nascono le bufale, Il mercato del consenso di Chris Wylie ci ha spiegato come Facebook sia ingegnerizzato per irretire i suoi utenti, Postverità ed altri enigmi di Maurizio Ferraris va alla radice delle peggiori litigate che scoppiano sotto un post.

Se proprio non volete fare quello che Jaron Lanier dice in Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, leggendo Il Manuale di disobbedienza digitale di Nicola Zamperini potete cominciare a imparare come difendervi.