Ora il partito paga per scovare i supporter in rete

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Il candidato diventa digitale

Arturo Di Corinto
Per Il Sole 24 Ore del 2 giugno 2009

Il boom dei social media e dei social network, alimentato dai contenuti generati dagli utenti, sta trasformando la comunicazione politica. Un cambiamento che vede in gioco diverse variabili ma con una caratteristica universale: la possibilità di distribuire il messaggio politico a dispetto di ogni vincolo spaziale e temporale, ed economico. Internet offre agli elettori la possibilità di interagire direttamente con l’offerta politica, costruire un percorso coerente con i propri interessi ma anche di entrare in contatto con altri soggetti per attivare campagne a livello locale. Il risultato è maggiore pluralismo informativo, la partecipazione attiva degli elettori, la riflessione collettiva su questioni di interesse pubblico.
Le email virali di Sinistra e Libertà, il sito satellite del PD, “Mobilitanti”, il netring dei Club della libertà, Rifondazione che compra pubblicità su Youtube e via discorrendo, ci dicono che la politica italiana ormai non rinuncia al web per farsi conoscere, dettare la propria agenda, contattare elettori. La loro massiccia presenza sui social network punta a colonizzare ai fini di visibilità politica i luoghi dove giovani e meno giovani si relazionano e per farlo si rivolgono addirittura ad agenzie specializzate per incentivarli a farsi veicolo di messaggi politici.
Yoyo comunicazione, ad esempio, è una piccola azienda di servizi web fatta da tre giovani trentenni che si occupa di web 2.0 e comunicazione virale. Tra le sue attività, una campagna parallela a quella di IDV per sedimentare video virali o penetrare i forum dove più intenso è il dibattito sulla politica, ma mai a titolo ufficiale. Così hanno contrattualizzato dodici giovani che producono video per Youtube, montano siti e fanno il monitoraggio di quello che accade in rete. Giovani provenienti dalle facoltà di Scienze della comunicazione che per un part time di 600 euro netti navigano per studiare i comportamenti dei followers dei candidati su Twitter, annotare ciò che si dice a proposito del candidato pagante e riportarglielo affinché possa sintonizzarsi col buzzword della rete ed eventualmente reagire con autorevolezza ad accuse e contestazioni.
E’ il caso di Running, agenzia che non solo offre formazione web ai politici, ma è capace di reagire con un efficace media-mix agli attacchi al proprio candidato grazie al monitoraggio h24 della rete, anche con flash mob organizzati via Internet, saltando i canali di comunicazione tradizionali.
Poi ci sono aziende che offrono servizi avanzati come Amelya che ha inventato “la campagna elettorale in affito” in cui il singolo candidato paga i servizi a consumo, sia per avere un assistente personale virtuale, sia per studiare il target elettorale e ottenere dossier per fare discorsi pertinenti e orientati al territorio. L’azienda offre anche la creazione di canali di dialogo e di ascolto con gli elettori – compresa l’ormai obbligatoria presenza su Facebook, perché, come dice il suo AD, Filippo D’Agata, «Curare la reputazione in rete è molto importante visto che in poco tempo è possibile gonfiare la popolarità di un personaggio o, al contrario, rovinargli la reputazione».
Di qui, la richiesta bipartisan (ma rifiutata) di attivare strategie di negative campaigning per denigrare gli avversari a quelli di Ninjamarketing esperti di marketing virale che adottano tecniche di comunicazione guerriglia per bucare l’agenda dei media.
E’ da notare però che nella maggior parte dei casi i social network usati per creare fermento (buzz) intorno a un certo candidato, più spesso hanno solo uno scopo informativo, segnalare la presenza dei candidati sui “media che contano”, tv e giornali. La logica è quella del soundbite: far circolare il proprio nome, ripetere all’infinto una frase ad effetto, attaccare gli avversari e screditarli. Una fonte anonima però ci ha rivelato che passa la giornata, pagata, per commentare negativamente i blog della sinistra moderata. Così se pure ci sono agenzie che lavorano su Facebook e Twitter per innescare la catena di visibilità, attenzione, scambio, consenso al candidato, i siti ufficiali, pensati per simpatizzanti che hanno tempo e voglia di leggere documenti e proposte rimangono appannaggio dell’ufficio stampa tradizionale a cui le attività internet sono subalterne. Monitorare temi e dibattito pubblico per condizionarlo è il vero discrimine fra un uso politico evoluto della rete e uno tradizionale. La campagna di Obama in questo ha fatto scuola. Con una differenza, dietro a Obama c’era un sogno. E gli esperti di Barack sono stati capaci di portare nella real life il potenziale di mobilitazione di Internet. Da noi c’è grande attenzione all’interazione sociale ed emozionale sui social network, a parole, ma raramente si riscontra una esplicita strategia di comunicazione politica che capitalizzi il desiderio di mettersi in gioco e di valorizzare le proposte dei cittadini on line. L’uso politico di Internet a fini elettorali e di propaganda sta determinando uno spostamento progressivo dal partito mediale al partito digitale, ma con tutti i suoi difetti.

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