Ottimista, generoso, divertente, Iaconesi è stato un innovatore radicale. Malato di cancro al cervello, dal 2012 si era battuto per trovare una cura condividendo la propria cartella clinica con medici e terapeuti di ogni parte del globo, “per rimettere la malattia al centro della società e innescare un processo di liberazione dei dati in favore di tutti”. Esperienza che avrebbe dato origine al libro La Cura e che avrebbe portato alla popolarità questo globetrotter che aveva scelto l’Italia per vivere.
Nato nel 1973 a Livorno, figlio di un ammiraglio, ha cominciato a giocare coi computer a 12 anni nello scantinato dei laboratori della scuola media di Philadelphia dove una suora l’aveva messo in castigo, prima di tornare in Italia con lo skate e la felpa col cappuccio: un alieno al tempo dei paninari. A 14 anni già usava il modem per collegarsi ai BBS (Bulletin Board System), produceva opere in caratteri alfanumerici (ASCII ART) e contrabbandava videogame ai compagni di scuola. Laureato in ingegneria, abbandona il dottorato in Giappone dove progettava rescue robot perché i militari li avrebbero usati per scopi bellici.
Feroce critico del copyright, teorico del software open source, difensore dei diritti digitali, Salvatore veniva da lontano, da un’epoca in cui la solitudine digitale non veniva colmata coi selfie e i post su LinkedIn. Era un attivista che faceva con altri hacker come lui quello che non per forza deve essere pubblico, ma che serve ad aumentare i gradi di libertà di ogni sistema chiuso, tecnologico o sociale che sia. In quel contesto nasce la collaborazione con il Linux Club di via Libetta a Roma dove era impegnato a costruire robot e relazioni.
Nel febbraio 2007 aveva creato un’intelligenza artificiale, Angel_F, che, parlando dal monitor piazzato su un passeggino “scorrazzava per lo spazio cibernetico tra esseri umani, database, social e sistemi interattivi per scoprire se stessi tra mondi fatti di pixel e di carne in uno spazio dove la realtà fisica e quella digitale si integrano sempre di più”. La storia di Angel_F (Autonomous Non Generative E-volitive Life Form), giovane Intelligenza Artificiale, nella sua narrazione era “figlia” del sociologo dei media Derrick de Kerckhove e della Biodoll, la sua amante digitale, una prostituta biotecnologica che viveva e lavorava on line. Angel_F figlio-intelligenza artificiale è vissuto nel mondo dell’hacking, tra software spia, database e surreali dialoghi con il popolo di Internet per indagare i temi dell’identità, della famiglia, della sessualità.
La democrazia dei dati
Le opere sue e di Oriana Persico, circa 100 costellazioni di dati, routine informatiche, visualizzazioni geografiche, hanno arricchito i musei di mezzo mondo insieme alle riflessioni dei due sul significato di un mondo datificato, riflessioni che servivano e servono a sviluppare la domanda: come cambia la nostra vita quando entrano in scena i dati e la computazione?
Salvatore era un provocatore: “I dati sono ideologici”, diceva. “Dietro i dati c’è sempre una teoria, che deriva da qualche ideologia che racconta solo una tra le infinite possibilità di leggere il mondo. Quali variabili scegli? Quali sensori usi? Quali soglie scegli? Come formuli la domanda del questionario? Sono tutte scelte ideologiche. Il dato è sempre costruito ideologicamente”.
I dati rappresentano potere e Salvatore lo sapeva bene. Ogni disequilibrio di potere, diventa dominio, perciò capire la posizione dei dati nella società, è fondamentale. E suggeriva queste domande: “Chi ha il potere di estrarre dei dati da me? Ogni volta che, online e offline, riempio un modulo, rispondo a una domanda, faccio una scelta, ogni dato ha un effetto pratico nella e sulla mia vita. Può determinare la mia possibilità di accedere a certi servizi invece di altri di qualità differente, può farmi licenziare o assumere, può determinare se e come potrò continuare negli studi e nella carriera, può determinare se mi concederanno un mutuo o la pensione. E tante altre cose”.
Diceva Salvatore che per affrontare la vita e rimettere in discussione i meccanismi politici di dominio, servono sensibilità e nobiltà, essere tecnicamente bravi non è assolutamente sufficiente. Ma soprattutto servono apertura, cura e amore. “Le guerre del presente e del futuro sono e saranno fatte coi dati, con la comunicazione e l’informazione, con la biologia, con la computazione, e non è assolutamente detto che a metterle in atto saranno le nazioni”. La sua era una chiamata alla responsabilità collettiva.
Nei dieci anni di cura tra la Fondazione Baruchello, gli ospedali Galliera e la casa di Torpignattara a Roma la poetica tecnologica di Salvatore si era affinata e aveva messo al centro il corpo e le emozioni. “Ci vogliono nuove definizioni, perché con le attuali ci siamo solo fatti male. Disinformazione, insostenibilità psicologica, overdose, malessere psicologico, contabilizzazione delle emozioni, insoddisfazione sistematica, senso di inadeguatezza, mancanza sistemica di significato e di concentrazione. Per affrontare le sfide che ci si parano davanti (cambiamento climatico, guerre, salute, povertà…), servono più tempo, meno pressione, meno violenza, meno competizione, più capacità di immaginazione oltre il realismo”.
Gli ultimi progetti
Salvatore è scomparso riflettendo sul limite e sulla morte, sulla conoscenza incarnata nelle persone e avendo avviato i progetti de “Il nuovo abitare”, la pubblicazione di un paio di libri, performance e installazioni artistiche, esperienze per esseri umani tecnologicamente modificati. Aveva appena presentato al Maxxi di Roma What a wonderful world, un progetto realizzato in collaborazione con la sua fondazione, HER, per indagare le opportunità offerte dal digitale alla collezione, mettendo in relazione le opere e il pubblico.
Per la compagna Oriana Persico, attivista per i diritti digitali, ecologista cibernetica, è sempre stato il loro modo di fare politica “Pensavamo che avesse senso farla attraverso linguaggi e dispositivi che possono arrivare al mondo. L’Arte digitale non è una decorazione, col software cambiamo il mondo e lo possiamo usare per ristabilire il rapporto tra le parole e le cose”. A cominciare dal concetto di dato, perché nella poetica di Salvatore e Oriana, “Il dato non è mai dato. Semmai è sempre datur: da dare”.