La Repubblica: L’Isis si sposta su Instagram: il software individua 50mila profili di supporter

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L’Isis si sposta su Instagram: il software individua 50mila profili di supporter

Ma l’esperto avverte: “Non possiamo cacciare tutti gli esaltati dal web. Occorre un lavoro approfondito di intelligence e maggiore cooperazione tra Stati e industria digitale”

di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 22 Settembre 2017

LO STATO islamico sta migrando su Instagram. Anche l’ultimo paradiso della sharing-mania, finora immune alle polemiche stile Facebook e alle tifoserie da Twitter, ora diventa terreno fertile per i terroristi. La conferma viene dall’analisi condotta da Ghost Data (Ghostdata.io), un gruppo di ricerca che ha sviluppato un software ad hoc per individuare gli elementi della propaganda integralista sul popolare social fotografico acquisito dall’azienda di Menlo Park.

Il software è in grado di automatizzare e quindi velocizzare le operazioni di profilazione dei contenuti delle Instagram Stories prima che scompaiano dalla timeline degli autori, e analizza i dati personali di chi ha caricato un certo contenuto, la data e l’ora di invio ma anche il tipo di file (foto, video o audio) e la geolocalizzazione dell’autore se presente nel post inviato su Instagram.

In questo modo Ghost Data avrebbe individuato circa 50.000 ‘supporter’ del Daesh su Instagram permettendo di tracciarne l’identikit. Secondo i dati acquisiti dal software, si tratta di maschi, dai 19 anni in su. Ma il software è capace anche di analizzare i post privati, grazie alla scansione di molti terabyte di dati, usando un sistema di intelligenza artificiale. La tecnologia alla base del lavoro del gruppo è la stessa che le grandi compagnie come Google e Facebook già utilizzano per fornire i servizi che usiamo tutti giorni per anticipare il contenuto delle ricerche sui motori o per il riconoscimento facciale di dispositivi biometrici. La stessa tecnologia che Italia, Francia e Regno Unito hanno chiesto ai big player della rete di adottare o migliorare per contrastare il cyber-terrorismo. Una richiesta ribadita durante l’ultimo incontro dell’Onu e che presuppone l’uso di tecnologie avanzate di machine learning per eradicare la propaganda terroristica sul web.

Nonostante l’impegno internazionale nella lotta al terrorismo online, la propagnda jihadista non è mai veramente scomparsa da siti e social network, e i suoi autori già da tempo utilizzano WhatsApp e Telegram per comunicare con adepti e aspiranti kamikaze. In particolare, secondo gli studi del Memri (Middle East Research Institute), i sostenitori di Daesh utilizzano i canali di Telegram per offrire informazioni su obiettivi sensibili da colpire, istruzioni su come fabbricare ordigni e interi kit di comunicazione per la rivendicazione degli attentati.

Tuttavia, secondo Lior Tabansky, ricercatore all’Università di Tel Aviv in visita in Italia, esperto di geopolitica della cybersecurity, “il problema non è la propaganda online, ma la capacità di piccoli gruppi di organizzare degli attentati. Questa della radicalizzazione dei lupi solitari sul web è una narrazione che dovremmo valutare meglio. Gli attentati vengono sempre organizzati da piccole cellule con una forte coesione interna e una struttura piramidale e che, pur in comunicazione con altri nodi estremisti, funzionano a compartimenti stagni e senza utilizzare profili pubblici sui social.”

Certo è che la propaganda online può influenzare il livello di radicalizzazione di individui pronti a combattare o a farsi esplodere. “Ma sappiamo che il passaggio non è così immediato. Anche una cellula jihadista preparata e agguerrita deve identificare i futuri agenti o soldati del Daesh, i potenziali martiri ad esempio, prendere contatti con loro, capire cosa gli possono offrire per portare a termine un attentato e poi organizzare la logistica per farlo, il che significa confezionare esplosivi e farli giungere sul luogo prescelto.”

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In effetti, nonostante l’utilità presunta di queste tecniche di analisi nelle società liberali, il problema rimane quello di bilanciare sicurezza e privacy senza intaccare la libertà d’espressione. Se su Instagram c’è qualcuno che inneggia all’Isis non è detto che sia un terrorista o che sia pronto a imbracciare le armi. Secondo Tabansky, però, alcuni strumenti potrebbero essere utili a risalire la filiera: da chi diffonde la propaganda a chi la costruisce in maniera ‘scientifica’ al vertice. “Anche se li individuiamo, però, non possiamo arrestarli prima di avere capito l’utilità di farlo. Il terrorismo oggi è come la criminalità, probabilmente non può essere completamente espulso dalle nostre società.”

Per questo, pur potendo contare sull’uso di strumenti efficaci, come l’intelligenza artificiale, che consentono anche lo spionaggio commerciale, la sorveglianza generalizzata e il marketing politico più raffinato, gli esperti sostengono sia utile affrontare il problema da un altro punto di vista: è necessario che i big – Google, Facebook e gli altri – collaborino dando accesso condizionato ai loro database e ai loro algoritmi. Bisogna vedere se saranno d’accordo nei fatti.