La Repubblica: Viaggio nella cyber-jihad del califfato islamico

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Gli hacktivisti non stanno più da una parte sola. Le fazioni in lotta nella guerra cibernetica che vede al centro lo Stato islamico usano strumenti e tattiche simili sul web. Ciò che le differenzia sono i valori alla base della loro azione e la scelta del campo dove stare. Con qualche trucco informatico non facile da replicare

di ARTURO DI CORINTO del 3 Marzo 2015

LA PROPAGANDA dello Stato Islamico non conosce sosta. E se qualcuno aveva dubbi sull’efficacia delle strategie delle sue strutture di comunicazione, oggi si deve ricredere e confrontarsi con una situazione di vera e propria guerra mediatica di difficile contenimento. All’inizio erano le azioni realizzate dai combattenti della bandiera nera raccontate da agenzie di stampa e riprese dai media arabi e occidentali. Poi sono arrivati i video realizzati in proprio da Al Furqan Media e postati su Isdarat-Tube, costruiti per altro con una buona tecnica cinematografica. Dopo ancora sono venuti i reportage diffusi via web del giornalista John Cantlie, avvicinato alla causa islamista, infine sono arrivate le interviste ai rappresentanti del Califfato, riportate in una serie di documenti scritti, tradotti e diffusi in molte lingue da Al Hayat Media Center.

Questa guerra di comunicazione oggi si è quasi completamente spostata su web. Ed è per questo che dal 14 settembre 2014 alcuni gruppi di hacktivisti che si riferiscono ad Anonymous hanno cominciato a bersagliare i luoghi virtuali della propaganda jihadista del califfato: una vera guerra cibernetica. Che può rinunciare ad usare i media tradizionali che uno alla volta hanno deciso di non trasmettere più al loro pubblico la follia omicida dei video del Califfato. Una decisione che ha portato gli islamisti a intensificare i propri sforzi di videopubblicazione su web.

Operazione Ice Is. Anonymous, il collettivo dei vendicatori mascherati resi noti dalle cronache inizialmente per gli attacchi alla chiesa di Scientology, quasi un mese fa ha dispiegato tutta la sua potenza denunciando e bloccando gli account Twitter dei fiancheggiatori dell’Is, conducendo una serie di operazioni di dossieraggio dei reclutatori dello stato islamico sul web e chiudendo i minareti virtuali degli Imam che su web chiamano alla guerra santa. Poi ha reso inservibile Isdarat-Tube, lo Youtube islamista. Vista la massiccia reazione dei fiancheggiatori dell’Is sui social network gli anon sono passati ad altri strumenti: l’ultima iniziativa in ordine di tempo è stato l’uso della “daeshbag”, uno script che rilancia su uno specifico account Twitter tutti i post che contengono parole relative alla propaganda Is per meglio individuarne gli autori. Un secondo strumento, di nome Block Together, invece è una applicazione per Twitter che permette di condividere gli utenti che decidi di bloccare così che gli utenti del microblog che si iscrivono a questa blocklist possono bloccare in automatico tutti gli account inizialmente bloccati da chi ha deciso di condividere la lista.

Anche qui la risposta jihadista non si è fatta attendere e oggi usa le stesse tecniche degli attivisti anti-Is fino ad arrivare a minacciare Jack Dorsey, uno dei fondatori di Twitter. Ma pochi giorni prima, mercoledì scorso, avevano lanciato una campagna di occupazione (flooding) di tutti i social media con l’hashtag #IslamicStateMedia. Però siccome l’antidoto cresce là dove il male alligna, molti attivisti iracheni, emuli del famoso architetto gay Salaam Pax, il primo blogger di guerra, ucciso nella guerra contro Saddam dai raid americani, hanno creato l’hashtag #Baghdad_Okay e il suo equivalente arabo per contrastare la diffusione della paura e della disinformazione di cui il il cybercaliffato è protagonista quando dice ad esempio di aver già occupato una città o rapito cristiani pur non essendo vero.

Stessi strumenti, obiettivi diversi. Quindi le tecniche e gli strumenti delle fazioni in campo sono le stesse, diversi gli scopi e i valori. Facile capirne i motivi, si tratta di persone educate all’uso degli stessi mezzi di comunicazione: videocamere digitali, smartphone, social network. Gli stessi strumenti usati a casa sia dai giovani foreign fighters andati a ingrossare le fila del califfato sia dagli insorti della primavera araba per denunciare gli abusi di potere dei loro regimi. È il caso del Fallaga team, un team di hacker tunisini colpevole di numerosi attacchi a siti di lingua francese. Non solo, gli stessi esperti di computer e reti digitali che prima combattevano quei poteri sono passati col nemico. È diventato un caso quello di Anonymous Ghost, noto anche come Mauritania Attacker, che, dopo aver militato con gli Anonymous, se ne è allontanto proprio all’inizio dell’operazione IceIsis contro i seguaci dello stato islamico. Ha fondato un team che su Facebook ha circa 12 mila “seguaci”, e in questi giorni ha attaccato e messo fuori uso diversi siti israeliani nella #OpIsrael, dizione che nel gergo Anon si riferisce a un’azione programmata e concordata fra un ristretto gruppo di operators di Anonymous e poi condotta con l’aiuto di altre crew e cani sciolti che ne condividono gli obiettivi. Operazioni che si strutturano  partire da un’idea che diventa un comunicato che viene condiviso e rimaneggiato a più mani sulle lavagne online di pastebin per gli Anonymous e di justpaste per i filo-jihadisti.

Viaggio nella cyber-jihad del califfato islamico

La jihad online cambia strategia. Se la disarticolazione delle strutture di reclutamento della jihad su web da parte degli Anonymous ha seguito una logica di attacco quasi militare, dove vince l’esercito meglio attrezzato, nella guerra di propaganda le cose sono più complicate. Per diffondere il verbo islamista oggi i fautori del califfato usano le strutture meglio protette e più liberali del mondo occidentale, quelle che non si possono attaccare: le biblioteche virtuali. Come segnalato dagli Anonymous e riportato da Repubblica, i cyberjihadisti postano i loro proclami, i video, le foto, su quella che è un’istituzione per tutta la cultura tecnologica occidentale, archive.org, la più grande biblioteca virtuale del mondo. Mentre scriviamo su archive.org ci sono almeno due documenti in italiano che teorizzano le virtù del califfato e che per alcune incertezze sintattiche e lessicali sembrano frutto della traduzione di un non nativo italiano, ma che dimostra di essere colto, avere una discreta proprietà di linguaggio e di sapere usare gli strumenti informatici per creare documenti pdf, sia a partire da software commerciale come quello di Microsoft, sia software libero come la suite d’ufficio Libre Office. I testi che hanno fatto scalpore in questi giorni sono stati caricati con tanto di licenza creative commons su archive il 3 e 4 dicembre 2014, tre mesi fa, e sono stati scaricati uno 47 volte, l’altro 202 volte. Lasciarli lì significa renderli fruibili a curiosi e fanatici, ma anche sapere da dove provengono e a chi interessano.

Così si capisce perché gli oppositori sul campo allo Stato islamico oggi cercano di cambiare strategia opponendo al racconto propagandistico dell’Is una contronarrazione fatta di testimonianze, opinioni e racconti non mediati dei testimoni diretti dell’oppressione e delle minacce di cui sono oggetto sotto la bandiera del Califfato. (Qui sotto la foto: “La Baghdad di oggi è la più bella e per quelli che vogliono distruggerla, risorgerà. Baghdad è bellissima. Baghdad è più forte di te. Che ti piaccia o meno, ISIS”).

Viaggio nella cyber-jihad del califfato islamico

Mentre gli Anonymous puntano come tradizione sul ridicolo fino al dileggio, con fotomontaggi irridenti l’idea del paradiso islamico, gli hashtag #NO2ISIS e #INSM_IQ sono invece usati dai citttadini iracheni per contestare le informazioni dell’Isis online anche dalle province in mano all’Is. Come ha detto Hayder Hamzoz, blogger e co-fondatore del network iracheno per i social media, critico della scelta del premier Al Maliki di voler chiudere i siti sociali per bloccare la propaganda dell’Is: “Vogliamo combatterli usando i fatti, e in maniera razionale. Solo così riusciremo a vincere”.

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