Trump ordina: ritirate l’immunità a Twitter
di ARTURO DI CORINTO per Articolo21 del 29 Maggio 2020
È violento nei modi, aggressivo nei toni, e dice bugie a ripetizione. Comanda l’esercito più potente al mondo e si ritiene al di sopra della legge. Oggi ha scoperto che i social network non sono bacheche elettroniche ma fornitori di contenuti, “media outlets” che influenzano i comportamenti di tutti, e che non sono sempre “fair”, cioè equilibrati e onesti. Per questo ha deciso di limitarne l’immunità legale finora garantitagli per esercitare il soft power americano. Parliamo di Donald Trump e della contesa nata su Twitter a proposito dell’oscuramento, non cancellazione, badate bene, di un suo tweet che minaccia l’uso della forza nella Minneapolis in rivolta per l’ennesimo, immotivato omicidio, di un cittadino afroamericano, George Floyd. Ma che dice esattamente il Tweet oscurato?
Il presidente, parlando dei disordini seguiti all’uccisione di Floyd, ha scritto su Twitter: “Non posso star qui a guardare quel che succede in una grande città americana, Minneapolis. Una totale mancanza di leadership. O il debolissimo sindaco di estrema sinistra Jacob Frey si dà una mossa, o manderò la Guardia nazionale per fare il lavoro che serve”.
Questo tweet è rimasto visibile, ma non il suo proseguimento che dice: “… questi TEPPISTI stanno disonorando il ricordo di George Floyd, e io non permetterò che accada. Ho appena parlato con il governatore Tim Walz e gli ho detto che le forze armate sono totalmente con lui. Se ci sono difficoltà, assumeremo il controllo, ma quando parte il saccheggio, si inizia a sparare. Grazie!”.
La risposta di Twitter a questo secondo post è stata infatti quella di nasconderlo, senza cancellarlo, e di poterlo leggere in quanto di possibile pubblico interesse, con il seguente commento: “Questo tweet viola le regole di Twitter sull’esaltazione della violenza. Ma Twitter ha stabilito che è nell’interesse pubblico che resti accessibile”.
La mossa segue due tweet del presidente segnalati come contenuti da sottoporre al ‘fact-checking’ di Twitter e che hanno a che fare con la presunta vulnerabilità del voto elettorale via posta a causa del Covid.
In tutta risposta, il presidente ha firmato un ordine esecutivo, il numero 24 della sua presidenza, denominato “Executive Order on Preventing Online Censorship” che mira a togliere alle piattaforne social l’immunità legale per quello che scrivono gli utenti (articolo 230 del Communication Decency Act: “No provider or user of an interactive computer service shall be treated as the publisher or speaker of any information provided by another information content provider.”)
Che cosa accadrà ora? Difficile dirlo. Siamo di fronte a una mutazione profonda delle logiche del Web il cui successo dipende proprio dalla libertà per chiunque, anche anonimo, di pronunciarsi su tutto senza che il fornitore del servizio di blogging, microblogging e networking sia considerato direttamente responsabile per quello che dice.
Di certo il decreto presidenziale rende più facile perseguire la via giudiziaria contro i social network quando assumono il ruolo di “moderatori” dei contenuti, dagli insulti alle fake news, cancellando post e rimuovendo account.
La scelta di Twitter, accusata dal presidente di fare attivismo contro le idee della destra americana è un’arma a doppio taglio per il social. Dando d’esempio che le regole valgono per tutti rischia di perdere il suo utente più famoso (ha 80 milioni di follower) e di conseguenza l’aumento della base utenti e molti preziosi inserzionisti. Dall’altra parte la reazione di Trump lo espone a cause milionarie o a intervenire su tutti i post senza discriminazione, diventando un editore in tutto e per tutto.
Ma è un’arma a doppio taglio anche per Trump. Intanto un decreto presidenziale non può cancellare norme vigenti e i giudici delle corti federali dovranno tenerne conto nei futuri, sicuri, ricorsi che ci saranno. Come accaduto con il Muslim Ban con cui il Presidente vietava l’ingresso negli Stati Uniti a cittadini di paesi islamici, gli stessi governatori potrebbero impugnare il decreto. Se investita del caso la Corte Suprema americana potrebbe perfino bloccare l’ordine esecutivo, difficile però, visto che la sua composizione è a maggioranza repubblicana, sempre pronta a sostenere il suo presidente.
In tutto questo però notiamo un paradosso. Con l’ordine esecutivo Trump potrebbe perdere un alleato prezioso contro la politica di disinformazione delle potenze straniere con cui si confronta dal primo giorno dell’insediamento. Questo perché di fronte alla viralità delle fake news cinesi e russe, all’azione propagandistica del Califatto islamico, all’esercito di botnet che polarizzano le opinioni elettorali degli utenti con messaggi identici e ripetitivi, Twitter e gli altri avevano costituito fino ad ora un argine importante, anche a favore di Trump e della politica Usa. Potrebbero smettere di farlo.
Viceversa Trump, nell’emettere l’ordine esecutivo ha invocato la difesa del Primo emendamento e la sacralità attribuita dalla Costituzione americana alla libertà d’espressione – quella che The President non concede ai giornalisti che lo interpellano – ma lo ha fatto solo ora che è direttamente coinvolto in questo personale braccio di ferro.
Marck Zuckerberg ha preso subito le distanze dalla vicenda dichiarando che i social non servono a stabilire la verità. Una mossa difensiva per il padrone di quattro piattaforme, Facebook, Instagram, Messenger e Whatsapp, che sono anche i canali principali della disinformazione, dal Brasile complottista di Bolsonaro all’Inghilterra della Brexit e delle torri 5G bruciate. Se non sono più protetti dall’articolo 230 del CDA si troverebbe di fronte la “mission impossible” di controllare e censurare utenti e contenuti con perdite miliardarie.
Insomma, Twitter, Facebook e i social network sono stati catapultati a pieno titolo nella campagna elettorale americana con un presidente che dopo fake news, post-verità e fatti alternativi vuole continuare a modellare le percezioni del pubblico che l’ascolta.