Diffamazione, sparisce il carcere ma il rischio bavaglio resta
Approvato a Montecitorio il testo finale della legge che modifica le norme sulla diffamazione, a mezzo stampa, radio e tv, libri e Internet. Ora passa al Senato. Ecco cosa cambia
di ARTURO DI CORINTO del 23 Giugno 2015
NIENTE CARCERE ma multe salate fino a 50 mila euro per il giornalista colpevole di aver diffamato. Il testo finale della legge che modifica le norme sulla diffamazione, a mezzo stampa, radio e tv, libri e Internet, arriva al voto nell’aula di Montecitorio con una serie di aggiustamenti che mettono solo in parte d’accordo il governo e le associazioni dei giornalisti. Rimane quell’obbligo di rettifica “gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo”, entro 48 ore per le testate online e per libri e riviste entro 15 giorni dalla richiesta, che ha fatto innervosire sia Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti, che Raffaele Lorusso neoeletto presidente del sindacato FNSI. Quest’ultimo aveva anche contestato l’assegnazione dei processi per diffamazione contro i siti internet al giudice della città del querelante: “Costringere una piccola testata a difendersi in cento tribunali diversi diventa una forma indiretta di intimidazione”.
La legge aveva destato una forte opposizione già due anni fa quando era stata concepita per rimediare al mostro giuridico del carcere per i giornalisti previsto dal nostro ordinamento e che l’Europa ci chiedeva di rimuovere. Un’opposizione non solo dei giornalisti e delle loro categorie professionali, ma di semplici cittadini, associazioni, esponenti del mondo della cultura, perché rischiava, e rischia, di trasformare i giornali nei dazebao dei rettificatori di professione, sia per l’enormità di sanzioni pecuniarie a fronte di una categoria adesso composta in maggioranza da giornalisti autonomi, precari e malpagati. Consapevoli tutti della tendenza a utilizzare lo strumento della querela per diffamazione come strumento di censura e di condizionamento per zittire i giornalisti scomodi, querele che secondo l’osservatorio di Ossigeno per l’informazione sono pretestuose, cioè temerarie, 40 volte su 100.
Adesso però invece del carcere da sei mesi a sei anni, i giornalisti condannati per diffamazione se la potranno cavare con una multa che, pagata, non metterà direttore ed editori al riparo da eventuali e successive di richieste di risarcimento. Col possibile risultato di voler chiedere ai propri giornalisti di limitare inchieste e approfondimenti su fatti controversi. A dispetto di quello che il presidente del Senato Pietro Grasso qualche giorno fa ha detto: “il giornalismo precede la giustizia e per questo la mafia lo teme”.
Le buone notizie. Scomparsa la norma che prevedeva la rivendicazione della cancellazione da Internet per articoli considerati diffamatori (il diritto all’oblio), e scomparso l’obbligo di rettifica per i blog e i siti indipendenti come Wikipedia, Valter Verini, il relatore, in un colloquio con Repubblica.it, si è detto soddisfatto: “Abbiamo fatto un buon lavoro in commissione. Adesso in aula c’è la possibilità di presentare emendamenti migliorativi. Ovviamente il testo licenziato dalla commissione Giustizia non preclude la possibilità che l’aula, sovrana, possa chiedere cambiamenti ulteriori”. E se fossero peggiorativi? “Il parere del relatore è conforme a quello del governo. Perciò io sono cauto ma anche fiducioso.”
Spiega Verini: “Abbiamo tolto il carcere, mi pare un risultato importante. Ricordo che su tre quarti del regolamento non si poteva intervenire, per il principio della doppia lettura conforme di Camera e Senato. Ma abbiamo eliminato le parti più controverse”. Si riferisce all’articolo 3, quello che riguardava la rete e i blog? “Sì, è stato tolto con il consenso di tutti. La diffamazione in rete è un problema reale, lo sappiamo, ma nelle molte discussioni avute si è compreso che affrontare un tema tanto delicato con un emendamento era assai difficile, tanto più perché è in corso il lavoro della commissione per i diritti di Internet presieduta da Stefano Rodotà che bisogna discutere in relazione a normative europee”.
Tuttavia la Cassazione ha appena depositato una sentenza di condanna per diffamazione attraverso Facebook che integra il reato di diffamazione a mezzo stampa. (sentenza 24431/15, depositata l’8 giugno 2015). “Certo che la cancellazione dell’articolo 3 non vuol dire che i blog saranno liberi di diffamare. Si può sempre denunciare per diffamazione. L’istituto giuridico non viene cancellato. Anche i blog e i siti non registrati ai sensi dell’articolo 5 della legge sulla stampa, possono essere querelati. Ci vuole maggiore approfondimento e ci aspettiamo spunti significativi dalla commissione Rodotà”.
Un emendamento anche per le querele temerarie. “Inoltre – aggiunge – abbiamo dato un segnale significativo rispetto al tema dolente delle querele temerarie (presentate per intimidire e minacciare giornali e giornalisti, ndr), soprattutto per le proprietà deboli e per certe zone del paese. L’idea è che il giudice possa decidere un risarcimento pari al 50% della somma richiesta da chi ha invocato il reato di diffamazione se si accerta la temerarietà della querela. Altra cosa importante è che si conferma il carattere colposo e non doloso del ruolo del direttore del giornale perché questi non può controllare tutto”. Sì, ma le rettifiche? Non ha ragione Enzo Iacopino quando dice che i giornali si trasformeranno in una buca delle lettere per i rettificatori? Non le sembra eccessivo non poter rispondere alla rettifica pure pubblicata? “La norma come si sta configurando da un lato garantisce un bene prezioso, la libertà dell’informazione, dall’altro tiene conto dei diritti del cittadino che si sente diffamato e che ha pari diritto ad avere una rettifica. Se la rettifica viene pubblicata non sono punibili né i giornalisti né il direttore. Per noi questa norma rappresenta una garanzia di responsabilizzazione per i giornalisti e per avere maggiore accuratezza nelle fonti e nei fatti”.