Le opportunità e i rischi dell’open banking, i timori del cybersecurity manager, le strategie che le aziende stanno mettendo in atto per evitare che i nuovi flussi e le nuove piattaforme non siano “open” anche per chi ha intenti criminali … saranno al centro della sessione del 7 novembre del Salone dei Pagamenti
di Arturo Di Corinto – 4 Novembre 2019
Lo scenario internazionale
Secondo una ricerca del 2019 condotta da ImmuniWeb, 97 su 100 tra le più grandi banche del mondo hanno siti web e applicazioni web vulnerabili. Lo stesso rapporto ha rivelato che il 25% delle applicazioni di e-banking non era protetto con un Web Application Firewall (Waf). Alla fine, l’85% delle applicazioni non ha superato i test di conformità al Gdpr e il 49% non ha superato il test Pci Dss, un penetration test progettato per la valutazione dell’infrastruttura di rete e delle applicazioni sia all’esterno che all’interno dell’ambiente di rete di un’organizzazione.
Le aziende investono molto, ma serve uno sforzo maggiore per la sicurezza delle applicazioni mobili. Le stesse Api (Application Programming Interface) di open banking possono presentare rischi per la sicurezza. La maggior parte delle Api utilizzate dalle applicazioni mobili inviano o ricevono dati sensibili, comprese informazioni riservate. Se non adeguatamente protette, la loro privacy e sicurezza possono essere a rischio al punto che un’app di terze parti dannosa potrebbe consentire a un delinquente di “attaccare” l’account di un cliente.
Possono essere a rischio anche le versioni precedenti delle loro app mobili perché potenziale oggetto di reverse engineering, oppure a causa di iniezioni di Sql e Remote Code Execution permettono agli hacker di arrivare si dati privati degli utenti. Un altro possibile problema sono le violazioni dei dati dovute ad un basso livello di sicurezza del software perché è difficile monitorare il modo in cui il codice sorgente viene archiviato e protetto durante lo sviluppo del software e soprattutto in seguito.
Il Rapporto Isaca
Secondo il rapporto annuale “State of Enterprise Risk Management” di Isaca, associazione internazionale di professionisti della sicurezza, il 29% dei 4.625 cybersecurity manager intervistati identifica la cybersecurity come la principale minaccia per la propria attività, mentre il 15% considera i rischi reputazionali e il 13% nomina i pericoli finanziari più critici. Il cybersecurity manager medio si aspetta che il loro rischio aumenti leggermente nel 2020.
Il sondaggio sottolinea che le aziende devono continuare a sviluppare le proprie capacità di gestione del rischio. Mentre i fondamenti della gestione del rischio, la valutazione e l’identificazione, sono ampiamente adottati, molti processi specifici di dominio risultano essere non sempre di facile applicazione. Il 24% dei cybersecurity manager considera difficile definire e valutare la conformità e il rischio legale, il 41% ritiene difficile la valutazione della cybersecurity e il 46% ritiene difficile la valutazione del “rischio politico”.