Sintetizzare in uno spazio come questo il volume Digital Italy 2023, Costruire la nazione digitale, è impossibile.
Questa raccolta di saggi, a cura di Arianna Perri, realizzata per The Innovation Group e pubblicata per i tipi di Maggioli Editore, è un volume di 421 pagine con oltre 50 autori che provano a fare il punto sullo stato di digitalizzazione dell’Italia a partire dai passaggi salienti del Digital Decade Report della Commissione Europea. E cioè: che effetti stanno avendo sul nostro paese l’accelerazione delle tendenze tecnologiche, come l’uso dell’Intelligenza Artificiale (AI) generativa, sulla produttività e sull’organizzazione del lavoro; quali sono gli effetti dell’irruzione della geopolitica nelle attività economiche e nella vita quotidiana delle persone tra inflazione, frammentazione delle supply chain e cyberattacchi (tra le principali preoccupazioni dei cittadini europei alla protezione dalla disinformazione e dai contenuti illegali); infine, la competizione tecnologica sempre più intensa, in cui la rapidità e le economie di scala assumono un ruolo chiave nella gara per il primato dell’economia globale.
Lo stesso “Digital Decade Report” rileva che alcuni progressi sono stati realizzati nell’ultimo anno (2022), ma molto rimane ancora da fare. Ad esempio, come dice Roberto Masiero nella sua introduzione al volume, “rispetto agli obiettivi relativi alle infrastrutture digitali, e in particolare alle very high-capacity networks (VHCN), l’Italia ha fatto un salto di dieci punti percentuali tra il 2021 e il 2022, ma rimane ancora al di sotto della media dell’Unione Europea (54% contro il 73% dell’UE)”. Inoltre, solo il 46% del popolazione ha competenza digitali di base e la percentuale di donne fra gli specialisti ICT è solo del 16%. Il livello di “intensità digitale di base” delle PMI italiane è del 70%, pari alla media europea ma riguardo alla digitalizzazione dei servizi pubblici, l’Italia si ferma al 68% nella fornitura di servizi pubblici ai cittadini (contro il 77% dell’UE) e al 75% per quanto riguarda i servizi alle imprese (contro l’84% dell’UE).
Tutti questi aspetti sono analizzati nel libro(ne), ma a noi forse interessa un pezzo in particolare, quello che parla di IA e cybersecurity. Per la prima sono facilmente condivisibili le parole di Tiziana Catarci e Daniel Raffini che ci ricordano come la rivoluzione digitale è la rivoluzione del nostro tempo e l’IA solo l’ultimo tassello di un cambiamento di lunga durata, che va governato mettendo al centro l’uomo (human centered approach), affinché essa sia al servizio delle persone, senza credere che sia qualcosa di miracoloso, e mettendogli dei paletti, dei guard rail, come li ha chiamati per primo Sam Altman, cominciando dal limitare la raccolta di dati personali senza consenso (Guido Scorza nel suo contributo).
Ma per farci cosa alla fine? Per innovare processi e prodotti, sicuramente, ma anche, come si dice nel libro, favorire i processi decisionali pubblici, la crescita economica e il progresso scientifico, l’istruzione per tutti. E, magari, innalzare la postura cibernetica del paese. Ma per questo, si sa, vogliono regole, cultura tecnologica e finanziamenti. Lo dice pure uno specchietto di Elena Vaciago a pag.334, dove ci ricorda che nei prossimi due anni dovremo fare i conti con nuovi regolamenti europei come DSA, NIS2, Critical Entities Resilience (CER) e il Regolamento DORA. Insieme all’AI Act, il Regolamento sull’Intelligenza artificiale, dovrebbero aiutarci, forse, a governare la trasformazione, fino alla prossima tecnologia dirompente, come il Quantum Computing.