Tra bufale e software spia, sicuri di WhatsApp?
Hacker’s Dictionary . Nso Group, azienda israeliana di software spia, utilizza WhatsApp per pedinare i difensori dei diritti umani. Aavaz chiede di diventare fact-checkers per impedire la propagazione di bufale via chat
di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 16 Maggio 2019
Ci sono due notizie che riguardano WhatsApp questa settimana. La prima è che l’azienda di proprietà di Facebook ha rilevato una falla di sicurezza nel suo software che permette di rubarci i dati con una semplice telefonata. La seconda è che Aavaz, network mondiale di attivisti, ha chiesto a tutti di trasformarci in cacciatori di bufale affinché non si propaghino via cellulare.
La prima notizia è abbastanza brutta. Pare che Nso Group, società israeliana entrata in Novalpina, e specializzata nei software spia, sia riuscita a sfruttare una vulnerabilità del servizio di messaggistica per mettere sotto controllo un’attivista per i diritti umani, un avvocato che fa base a Londra. L’avvocato, insospettito da strane telefonate notturne, ha chiesto ad alcuni esperti di verificargli il telefono e ha scoperto di essere sotto controllo.
La storia, riportata prima dal Financial Times e poi dal New York Times, è stata ripresa dai media di tutto il mondo. Amnesty International è intervenuta per chiedere al governo israeliano di impedire l’esportazione delle tecnologie di Nso Group che possono essere usate a discapito dei diritti umani. Ovviamente Nso Group sostiene di non essere coinvolta. Ma non è la prima volta che viene pescata con le mani nel sacco. L’abbiamo scritto proprio in questa rubrica che il Citizen Lab di Toronto aveva scoperto che non ci sono dubbi che i software spia di Nso Group siano stati usati per silenziare attivisti per i diritti umani in 45 paesi del mondo, dall’Egitto al Messico. Uno di questi spyware sarebbe stato usato anche per pedinare Jamal Khashoggi, il giornalista del Washington Post trucidato nel consolato arabo-saudita di Istanbul.
Da WhatsApp dicono di avere riparato la falla, e che basta aggiornare il software dell’applicazione da uno store ufficiale e possiamo dimenticarci del problema. Per maggiore sicurezza però, se ricevete una telefonata da un numero che non conoscete e comincia col codice svedese +46, preoccupatevi. Si tratta del numero degli spioni per intercettare specifici soggetti e navigare tra foto, video e contatti della vittima.
La seconda notizia è che la lotta contro le fake news diffuse con WhatsApp ha oggi un altro alleato, Aavaz, che invita tutti a diventare «detective di WhatsApp» per denunciare le bufale che ci raggiungono attraverso l’app usata da un miliardo e mezzo di utenti. Sempre in questa rubrica avevamo raccontato che, secondo i cacciatori di bufale dell’associazione brasiliana Aos Fatos, WhatsApp è uno strumento terribilmente virale per condividere notizie false e non verificate per due motivi: sull’app ci scrivono parenti e amici di cui ci fidiamo; verificare queste notizie costa tempo e credito telefonico, mentre WhatsApp è gratis.
Gli attivisti di Aavaz fanno l’esempio di tre bufale che girano in questo periodo: quella della democratica americana Ocasio Ortez che avrebbe lodato l’incendio di Notre Dame (non è vero); Papa Francesco che invita alla lapidazione delle donne adultere (non è vero); i migranti che distruggono un’auto dei Carabinieri (che pure non è vero).
Gli attivisti dicono di volerlo fare anche per evitare influenze nelle elezioni europee, ma a dire degli studiosi non esiste alcun rapporto diretto tra le bufale e i risultati elettorali, come hanno spiegato i ricercatori Nicola Bruno e Walter Quattrociocchi alla Federazione Nazionale della Stampa nel convegno «Elezioni ai tempi dei social media». Piuttosto andrebbe monitorato il lavoro della stampa, a cominciare da quello dei telegiornali, esperti di disinformazione più dei russi.