Fake Reputation

Dalla manipolazione della reputazione all’etica professionale

Admin ed editor “in vendita” disponibili a manipolare schede su Wikipedia, agenzie pronte ad ingannare gli algoritmi di Google per migliorare la reputazione dei loro clienti, e altre disponibili ad infangare, a caro prezzo, quella della concorrenza.

Una recente inchiesta della Media Foundation Qurium, ripresa e ampliata in Italia da Lorenzo Bagnoli per conto di Investigative Reporting Projecy Italy, denuncia ciò che era già assai noto tra gli addetti ai lavori, ovvero che esistono, ad esempio, vere e proprie “lavanderie reputazionali”, agenzie e organizzazioni che hanno come scopo precipuo la sistematica alterazione del perimetro reputazionale di marchi e di personaggi, con tecniche le più varie: applicazione esasperata e forzate delle norme sul diritto all’oblio; comunicazioni dal sapore vagamente intimidatorio indirizzate alle redazioni giornalistiche finalizzate a ottenere la rimozione di articoli poco lusinghieri pubblicati in passato sui clienti di queste agenzie; pubblicazione di articoli positivi a raffica – basati sul nulla, costruiti a tavolino – con l’intento di far scalare quelli negativi nelle ultime pagine di Google; backlink selvaggio.

Tra i Clienti di queste agenzie, nella migliore delle ipotesi risultano aziende che hanno subito e patito precedenti campagne di “black PR” e che desiderano quindi – a volte legittimamente – riposizionare la propria immagine; ma, nella peggiore, troviamo anche società interessate a spingere forsennatamente sulle vendite a qualunque costo, o uomini dello spettacolo accusati di molestie sessuali, professionisti coinvolti in frodi finanziarie internazionali, o peggio ancora banchieri condannati per riciclaggio, corruttori e trafficanti di droga.

Le più autorevoli inchieste giornalistiche fanno coraggiosamente diversi nomi e cognomi, sia dei clienti, italiani e stranieri, ma anche delle agenzie di RP e comunicazione pronte a imbastire e gestire progetti di questo tipo, con una spregiudicatezza degna forse dell’attenzione della Magistratura, ma sicuramente d’interesse per qualunque operatore professionista del settore attento al proprio profilo etico ed alla propria stessa reputazione.

Quest’evento vuole stimolare una pubblica riflessione su queste male pratiche consulenziali, che alterano e “dopano” il mercato della reputazione nel nostro Paese, falsando anche la percezione che i cittadini hanno di marchi e persone influenti. Oltre a vaghe dichiarazioni di principio, nei Codici etici delle associazioni di categoria, attualmente non si va: ma vista la pervasività del fenomeno, forse è arrivata l’ora di promuovere azioni più incisive.

Ne parleranno alcuni tra i maggiori esperti di reputation management d’Italia, specialisti ed esperti:

  • Daniele Chieffi, Giornalista, Docente Universitario, Cofounder BiWise
  • Arturo Di Corinto, Public Affairs & Communication, Agenzia Cybersicurezza Nazionale
  • Giovanna Cosenza, Professoressa di Semiotica e New Media, Università di Bologna
  • Toni Muzi Falconi, Relatore pubblico, Senior Counsel Methodos
  • Matteo Flora, Docente universitario, imprenditore, esperto in reputazione e Data Driven Strategy
  • Elisa Giomi, Commissaria Autorità Garante delle Comunicazioni
  • Filippo Nani, Presidente Nazionale FERPI
  • Nicola Menardo, Avvocato, Partner Studio Grande Stevens
  • Luca Poma, Professore di Reputation Management, Università LUMSA di Roma

Storie di giornalismo #2: l’accusa di plagiarismo

Il 29 luglio 2019 arriva un’email alla redazione di Repubblica.
L’email dice che il sottoscritto avrebbe copiato un articolo.
Anzi, dice tre cose:
A) il mio articolo pare tradotto da un articolo in spagnolo;
B) il contenuto proverrebbe dalla velina di una nota società.
C) il fatto starebbe destando scalpore nella comunità informatica.

Il caporedattore di Repubblica, trent’anni di esperienza, fa una verifica veloce e risponde all’email dicendogli che la cosa appare improbabile, visto che il pezzo a lui era stato consegnato 15 giorni prima della pubblicazione del pezzo in lingua spagnola, che l’autore era appena stato nei luoghi dell’articolo e che aveva molte foto con gli intervistati.
Ma chiede al segnalatore le evidenze di quello che dice: non arriveranno mai.