L’arresto
Accusato fuori dei tribunali di aver contribuito a divulgare i conti bancari off-shore del presidente di estrema destra Lenin Moreno, in combutta con Wikileaks e Julian Assange, Ola Bini è stato arrestato l’11 aprile 2019 dopo la conferenza in cui l’allora ministro dell’Interno María Paula Romo annunciava la decisione del paese di togliere ad Assange lo status di rifugiato politico, confondendo l’attivista svedese con presunti hacker russi rei di voler destabilizzare il governo in combutta col Venezuela. Arrestato all’aeroporto di Quito, senza mandato, e tenuto all’oscuro dei capi di imputazione a Bini è stata negata persino la possibilità di avere un traduttore, di comunicare con l’esterno, di chiamare un avvocato. Neanche l’ambasciata svedese è stata informata della sua incarcerazione. Il 16 Aprile, a un evento pubblico a Washington, D.C., il Presidente Moreno, per manifestare la svolta politica rispetto al governo di sinistra che aveva protetto Julian Assange nella sua ambasciata di Londra, aveva detto che Bini era “responsabile di aver hackerato account governativi e sistemi telefonici”.
Solo dopo due mesi e mezzo, il 20 giugno, il tribunale però ne ordinava la scarcerazione riconoscendo che la sua detenzione arbitraria ne aveva violato i diritti alla libertà personale e a un giusto processo. Contattato da Repubblica, Carlo Mendoza di Amnesty International ci ha confermato che Bini adesso “è in libertà condizionata, non può lasciare il paese e deve presentarsi ogni settimana alle autorità.” Non potendo provare l’attacco informatico il primo agosto le autorità lo hanno accusato di evasione fiscale.
La mobilitazione internazionale
Per molti osservatori quello di Ola Bini è più un caso politico che una vicenda criminale e, secondo Amnesty contribuisce a creare un’atmosfera di intimidazione e paura tra coloro che difendono i diritti digitali e la privacy in Ecuador. Perciò l’organizzazione per i diritti umani invoca un giusto processo al programmatore. In attesa di averlo però, il 17 agosto la stampa ecuadoriana vicina al governo ha diffuso delle fantomatiche prove contro di lui, in particolare la fotografia della schermata di una connessione Telnet fatta da Bini a un server governativo dove però l’accusato non è mai entrato, arrestandosi al suo ingresso come fanno tutti gli hacker etici di fronte a un cancello aperto dove c’è scritto ‘Vietato Entrare’, prima di avvisare le autorità competenti. Che è quello che Bini ha provato a fare contattando come intermediario Ricardo Arguello, una figura ben nota nella comunità ecuadoriana del software libero. Eppure che non sia penetrato nel server si vede bene dalla schermata arrivata – non si sa come – nelle redazioni.
I cinque mesi da incubo dell’hacker che difende i diritti umani
Amnesty International interviene a favore del programmatore svedese Ola Bini. Amico di Julian Assange è perseguitato dalla giustizia ecuadoriana ma senza prove
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 28 Agosto 2019