CULTURA LIBERA, SOCIETÀ LIBERA (Il Diritto d’Autore nel Web 2.0)
Il prof. Arturo Di Corinto docente di Comunicazione Mediata dal Computer della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
presenta:
Cultura Libera, Società Libera
(Il Diritto d’Autore nel Web 2.0)
a cura di
Marco Scialdone
con la partecipazione di Deborah De Angelis, Lorenzo De Tomasi, Ermanno Pandoli e Guido Scorza
“Dobbiamo a Thomas Jefferson l’idea di biblioteca pubblica e il diritto di prendere in prestito un libro gratuitamente. Questo grande antenato però non aveva previsto la possibilità che 20 milioni di persone potessero accedere elettronicamente a una biblioteca digitale e consultarla senza alcuna spesa” (N. Negroponte, Essere Digitali, Sperling & Kupfer editori, 1995, pag. X). Non sarebbe possibile descrivere in altro e migliore modo la forza dirompente della Rete. La dematerializzazione dei supporti della conoscenza ha aperto una nuova era nella storia dell’umanità, un’era caratterizzata dal progressivo passaggio dagli atomi ai bit con il conseguente abbattimento dei costi legati al trasporto. Privata della zavorra materiale, l’anima della conoscenza è in grado di diffondersi senza confini, in un incessante confronto di contenuti. In questo scenario viene da chiedersi quale ruolo sia ancora in grado di recitare la normativa in materia di diritto d’autore nella sua tradizionale impostazione, riassumibile nell’espressione “tutti i diritti riservati”. La domanda che allora occorre porsi è: quei diritti sono ancora o, meglio, debbono ancora essere tutti riservati? Obiettivo del corso, pertanto, è consentire agli studenti di elaborare una conoscenza critica sul rapporto tra la normativa in materia di diritto d’autore e la libera fruizione del sapere, nonché di comprendere l’importanza dei beni comuni (“commons”) informazionali per lo sviluppo di una società libera. Continua a leggere Il Diritto d’Autore nel Web 2.0




Nella foto Stefano Rodotà e Gilberto Gil al workshop sul Bill of Rights all’IGF di Rio De Janeiro
Mentre si discute di ICANN e nomi di dominio e i partecipanti si accalorano sui gradi di libertà possibili con l’adozione di protocolli d’intesa e regole tecniche condivise per lo sviluppo futuro di Internet, altri due temi emergono prepontemente in tutti i discorsi: la censura online e il copyright. Infatti se c’è un generale accordo sul fatto che la rete è un agente di progresso e che il suo motore è il libero scambio di informazioni, diverse sono le ricette proposte per potenziare le sue caratteristiche di apertura, libertà e indipendenza. I paesi che vogliono mantenere uno controllo politico, anche indiretto, della rete, da sempre dichiarano di volerlo fare per proteggere l’infanzia, gli adolescenti, le infrastrutture critiche e, soprattutto, la proprietà intellettuale. Ma non incantano più nessuno. Almeno al forum per l’
Nella foto Stefano Rodotà alla presentazione del bill of Rights di Rio De Janeiro
Le due anime dell’IGF di Rio si scontrano subito nella sessione di apertura. Dopo il tentativo dell’inviato cinese all’Onu di circoscrivere la discussione a un simposio intellettuale, il ministro brasiliano Mungabeira chiarisce la posizione del suo governo sul metodo e gli obiettivi della governance di Internet: affermare il principio di una governance antiegemonica basata sulla collaborazione e sulla partecipazione democratica in cui l’autorganizzazione della società civile sia la precondizione di un nuovo modello di governance. Il riferimento alla gestione verticale e solitaria dell’Icann dei nomi a dominio è chiara. Al ministro brasiliano, determinatissimo, però non basta un riferimento implicito e, a chiare lettere sostiene che non è più tollerabile una gestione univoca della governance di Internet e che è tempo di cambiare senza balcanizzare la sua funzionalità ed efficienza. A fargli il verso nella sessione plenaria del mattino il ministro Rezende prefigura una rete dove il software libero dispieghi pienamente le sue potenzialità e la tragedia del digital divide diventi un ricordo. A corroborare la tesi di un governo pubblico della rete Internet, intesa come bene pubblico da gestire come tale, la rappresentante di una grande Ong finanziata dai governi svizzero e britannico, l’APC (Association for Progressive Communication), Esterhuysen. Così la rappresentante della società civile introduce un tema decisivo, il rapporto fra privacy, sicurezza e libertà d’espressione che dice, “sono temi che vanno distinti una volta per tutte”, in quanto l’insistenza della contrapposizione fra sicurezza e libertà creerà le condizioni per un mondo meno sicuro. La rappresentante dell’APC però continua e chiarisce che l’inclusione digitale è la chiave di volta di fronte alle numerose barriere che impediscono ai popoli, alle persone in carne ed ossa, di accedere ai benefici della società digitale. Con un’ultima stoccata: l’iperprotezione della proprietà intellettuale impedisce ogni giorno di più il pieno dispiegrsi delle potenzialità della comunicazione in rete e per questo invita tutti a non lasciare che la questione ICANN monopolizzi il dibattito: troppe sono le cose di cui il meeting è chiamato a occuparsi.
L’internet governance forum è appena iniziato e i più smaliziati già prevedono che si concluderà con un nulla di fatto. Non c’è infatti nessun accordo sulla gestione multilaterale dei nomi di dominio, uno dei motivi che insieme al grande tema del divario digitale, hanno portato alla convocazione dello stesso
Per molti di noi, pensare di vivere senza Youtube, e-mail e blog personali, è un’assurdità. Siamo così abituati a leggere online le notizie che ci interessano che abbiamo smesso di comprare i giornali di carta che accompagnavano la nostra colazione, e la nostra dipendenza da Internet è tale che che non siamo neppure più credibili quando proviamo a negare ai nostri figli la connessione a banda larga nelle loro camere. Eppure 5 miliardi e mezzo di persone non accedono ancora alla rete Internet e diversi milioni non ci proveranno neppure perchè senza luce e senza telefono. Una riflessione che può apparire banale o farci sentire in colpa solo perchè rappresentiamo un’elite colta e tecnologica, ma forse non lo è se per affrontare questo tema si sono dati appuntamento in Brasile pù di cento paesi e al 






