Bugie di guerra. La disinformazione russa dall’Unione Sovietica all’Ucraina

Come si manipolano le percezioni di cittadini e decisori politici è l’oggetto di studio di chi si occupa di disinformazione. Indurre un concorrente, un avversario, un nemico, a prendere decisioni sbagliate è da sempre un tema centrale delle strategie politiche ed economiche organizzate da Stati democratici, dittature, e gruppi di interesse variamente organizzati.

Il libro Bugie di guerra. La disinformazione russa dall’Unione Sovietica all’Ucraina (Paesi edizioni, 2022), parla di questo, scegliendo come focus la Russia di Putin, di cui sintetizza efficacemente l’ideologia di origine ceckista, quella sviluppata cioè dalla Ceka, la polizia politica creata da Lenin, predecessore del KGB e dell’attuale FSB, i servizi segreti russi interni.

Però, nonostante le intenzioni, è una versione in sedicesimi della storia delle influenze sovietiche in Occidente. Il libro, di tre autori: Francesco Bigazzi, Dario Fertilio e Luigi Sergio Germani, copertina tratta da un manifesto del fotografo ucraino Oleksii Kyrychenko, che con il suo disegno fa il verso alla propaganda sovietica di Dmitrj Moor, racconta in maniera partigiana come si manipolano le coscienze di popoli e decisori politici. Un tema di grande attualità nell’era cibernetica in cui la rete rende più facile condurre operazioni di disinformazione.
Il testo racconta le operazioni di influenza politica esercitate dai comunisti sovietici verso l’Italia ma senza la profondità storica dell’ultimo libro di Paolo Mieli, Il Secolo Autoritario. Perché i buoni non vincono mai (Rizzoli, 2023) che racconta, ad esempio, il patto Molotov-Ribbentrop per la spartizione dell’Europa e illumina i rapporti tra fascisti e sovietici per spalleggiarsi a vicenda contro Francia e Inghilterra. Così, mentre Bugie di Guerra (è stato già il titolo di un libro di Claudio Fracassi del 2003), si dilunga sui rapporti che il Partito comunista italiano intrattenne col PCUS da cui veniva finanziato, non dice nulla del fatto che la CIA facesse lo stesso con la Democrazia Cristiana. Parla delle ingerenze russe in Ucraina, e dello scatenamento della guerra del Donbass, ma non parla della costruzione a tavolino dell’aggressione americana all’Iraq nel 2003 sulla base di falsi dossier maneggiati anche dai servizi segreti italiani. Come se fossero i sovietici i maestri della disinformazione e omettendo che la guerra d’influenza è stata fecondamente teorizzata dal diplomatico statunitense George Frost Kennan.

Il libro, insomma, è fedele al titolo, parla della Russia e delle sue operazioni di ingerenza e può costituire una base per farle conoscere a chi si sta approcciando al tema. La disinformazione infatti non è praticata solo dai russi e, rispetto al KGB, la CIA ha probabilmente condotto operazioni coperte di maggior successo in tutto il mondo. Ma questa è un’altra storia.

La danza delle ombre

La danza delle ombre. Spie, agenti e molti segreti, è il nuovo libro di Guido Olimpio pubblicato da La nave di Teseo (2023).
Il testo è un tentativo di portare il giornalismo d’inchiesta nella narrativa di genere raccontando storie esemplari di spioni doppiogiochisti. Molte delle storie nel libro riguardano agenti americani e russi che hanno deviato dalla loro missione e sono passati al nemico, altre riguardano la rivalità tra Israele e la Repubblica islamica iraniana a cui l’autore ha dedicato alcune delle sue migliori pagine, altre ancora ritraggono agenti europei “che sbagliano”.
Doppie famiglie, case di lusso, denaro a fiumi e debiti: dentro ogni storia raccontata dal giornalista c’è la vicenda umana del protagonista del tradimento, motivato quasi sempre dal denaro, talvolta da una scelta ideologica, quasi sempre finita male.
Gli addetti del settore intelligence potranno riconoscervi storie già note. Anche italiane. Le ombre sono sempre in agguato.

Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo

Come i servizi segreti stanno cambiando il mondo. Le strutture e le tecniche di nuovissima generazione al servizio della guerre tradizionali, economiche, cognitive, informatiche. Aldo Giannuli, pp. 284 Ponte alle Grazie, 2018

Lo spionaggio è esistito dalle origini della civiltà: c’è sempre stato un apparato di sicurezza, per quanto approssimativo, interessato a sapere chi avrebbe potuto mettere in pericolo, in qualsiasi modo, la sicurezza della comunità, dall’interno o dall’esterno.

Ma oggi siamo a una grande svolta: lo spionaggio si avvia a conquistare il centro della scena, in stretta convergenza con la finanza.

Uno degli aspetti più significativi del processo di globalizzazione è stato il cambiamento dell’intelligence, iniziato a fine anni Cinquanta e poi proseguito, sino a culminare nella teoria della guerra «asimmetrica». Le origini della svolta stanno nel dibattito sulla «guerra rivoluzionaria» e nella dottrina che ne seguì con il concetto di strategia indiretta, quel che ha portato sempre più a pratiche di guerra coperta.

Ovviamente un conflitto del genere deve per forza avere il suo strumento operativo (sia in difesa che in attacco) nei servizi di sicurezza, e pertanto l’intelligence, da attività tattica, collaterale e servente, quale era stata nel confitto aperto, diventava strategica, centrale e dominante nel conflitto coperto. Di qui le pratiche di destabilizzazione monetaria, di influenza politica, di cyberwar, di spionaggio industriale, sempre più ricorrenti, sino a forme di soft power e di appoggio a guerriglie e terrorismi.

La globalizzazione ha cambiato l’intelligence, ma ora l’intelligence sta cambiando il mondo: dalle relazioni internazionali, all’economia, dalla guerra alle scienze cognitive, alle dinamiche sociali, e ai sistemi politici. Capire l’intelligence è la porta stretta da cui dovremo passare per capire il mondo che viene.

Io Servo dello Stato

[…] io sono un alto funzionario dello Stato. Sono partito dalla gavetta. In decenni di duro lavoro, di studi e di sacrifici sono arrivato a ricoprire cariche sempre più alte. Ho avuto una carriera onorata che mi ha dato grandi soddisfazioni. Voi penserete che da niente sono diventato qualcuno. Ma non è vero. Vi sbagliate di grosso. Per essere qualcuno basta somigliare a se stessi.

Solo chi è una nullità pensa di diventare qualcuno grazie alla carriera o ai soldi.

Chi invece è già qualcuno, nella sua vita aspira solo a non divenire una nullità. Divenire una nullità per me significa essere corrotti, farsi corrompere, sporcarsi con le mille miserie che ogni giorno ti pongono le nullità della società: quelle che cercano favori per andare avanti, quelle che fan finta di farteli i favori per asservirti, quelle che sono pronte a fare di tutto pur di apparire.

E fanno bene; la loro volontà di apparire è esattamente proporzionale alla loro miseria. Più sono niente e più vogliono diventare qualcuno. E più diventano e più nulla sono.

Io non appartengo a questa specie di uomini. Mi fanno schifo, questi uomini. Non ho mai pensato che la mia funzione dovesse rendermi onorabile. Al contrario, ho sempre pensato che la mia funzione dovesse essere onorata come la mia persona. Ho onorato la mia funzione perché onoro l’uomo che c’è in me.

Quell’uomo mi dice che l’onore di un uomo non dipende dagli incari chi, dai gradi, dalla ricchezza.
Quell’uomo mi dice che l’onore è un uomo che onora gli altri uomini, che fa della sua vita un dono alla vita. Alla vita di ogni uomo.

Quell’uomo che dona la propria vita alla vita degli uomini, quello è un uomo onorato.
Quello che dona il proprio onore all’onore di tutti affinché tutti siano onorati, quello è un uomo onorato. Quello è un uomo di Stato. Io ho offerto il mio onore per l’onore dello Stato. Lo Stato mi ha onorato come io ho onorato lo Stato.
Lo Stato non viene sempre onorato come meriterebbe. Questo è il cruccio della mia vita. Che lo Stato sia onorato. Questo è l’obiettivo della mia vita. Rendere rispettabile e onorabile la mia funzione; attraverso la mia persona salvaguardare la dignità della mia funzione. Desidererei che il rispetto per me implicasse il rispetto per la mia funzione e per lo Stato. Uomini che si rispettano come fanno a non rispettare lo Stato? Cosa me ne faccio del rispetto per me se non viene rispettato lo Stato? […]

Io servo dello Stato. Diario di un funzionario incorruttibile (DeriveApprodi 2002)

Tra Mazzarino e uno sconosciuto capo di gabinetto, questo libro, di venti anni fa, ci aiuta a vedere il servizio allo Stato in un’ottica peculiare, quella di un servitore (servo) dello Stato che agisce come non ti aspetti.

Hacking e disinformazione, la scuola russa

Hacking e disinformazione, la scuola russa

Hacker’s Dictionary. Quello tra criminalità cibernetica, hacktivismo e hacking di stato in Russia è un rapporto stretto. Un’analisi di Google-Mandiant ne offre le prove insieme agli arresti effettuati dai servizi segreti ucraini

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 29 Settembre 2022

Se qualcuno non aveva ancora capito il rapporto esistente tra l’hacking e la diffusione di notizie false ci hanno pensato i servizi segreti ucraini a mostrarglielo, arrestando un gruppo di cybercriminali specializzato nella vendita di account per diffondere disinformazione.

Le autorità ucraine, pur non rivelando i nomi degli arrestati, hanno fornito le prove dell’attività di un gruppo di hacker operanti a Lviv in possesso di circa 30 milioni di account appartenenti a cittadini ucraini ed europei venduti sul dark web.
Le perquisizioni effettuate nelle case dei sospettati hanno portato al sequestro di hard disk contenenti dati personali, cellulari, schede Sim e memorie flash usate per lo scopo.

Secondo le prime stime, il gruppo, pro-russo, avrebbe guadagnato circa 400mila dollari rivendendoli all’ingrosso attraverso sistemi di pagamento elettronici come Qiwi e WebMoney.

Nel comunicato stampa il Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SSU) sostiene che i clienti sarebbero propagandisti pro-Cremlino: «Sono stati loro a utilizzare i dati identificativi di cittadini ucraini e stranieri rubati dagli hacker per diffondere false notizie dal fronte e seminare il panico».

Nel comunicato tuttavia non si spiega come gli hacker avrebbero operato ma solo che obiettivo alla base della campagna era «la destabilizzazione su larga scala in più paesi», e che gli account sono stati utilizzati per diffondere false informazioni sulla situazione socio-politica in Ucraina e nell’UE, precisando che «l’attività principale dei clienti degli hacker era proprio la creazione e la promozione di account nei social network e nei canali di messaggistica veloce».

In precedenza le autorità avevano chiuso due farm di bot da 7.000 account per diffondere disinformazione e creare panico nella regione. Un’attività legata a una fase della guerra russo-ucraina in cui i cittadini di alcune zone, soprattutto nel Donbass occupato, non ricevono né cibo né informazioni.

I pochi giornalisti che sono riusciti a parlarci infatti hanno dichiarato che gli ucraini sotto occupazione non conoscono l’entità dello scontro con Mosca, la percentuale di territorio occupata e se i propri congiunti siano vivi. Ma il rapporto tra criminalità cibernetica, hacktivismo e hacking di stato è anche più diretto.

Secondo Google-Mandiant quando gli hacker governativi russi attaccano, passano i dati rubati agli hacktivisti entro 24 ore dall’irruzione in modo da consentirgli di effettuare nuovi attacchi e diffondere propaganda filorussa.  Ad agire in questo modo sarebbero in particolare quattro gruppi non governativi: XakNat Team, Infoccentr, CyberArmyofRussia_Reborn e Killnet.

Tuttavia mentre XakNet si coordinerebbe con l’intelligence russa, Killnet, con cui collabora, sarebbe pronta ad attaccare chiunque se pagata. Qualche mese fa il collettivo, che ha anche bersagliato l’Italia, ha però incominciato ad ammantare le proprie azioni di patriottismo, diventando una celebrità grazie alle ospitate nella televisione russa. Mandiant ritiene che siano stati proprio gli hacktivisti russi a prendere di mira realtà Usa come Lockheed Martin con una serie di attacchi finora rintuzzati.

Recentemente gli hacker di stato come Sandworm, noti per il virus Industroyer, hanno impersonificato gli operatori di telecomunicazioni ucraini Datagroup ed EuroTransTelecom nei loro attacchi.

E lunedì scorso il governo ucraino ha anche diffuso un allarme circa massicci attacchi cibernetici sotto forma di malware e DDoS verso le infrastrutture energetiche del paese invaso e contro i suoi alleati come la Polonia e i paesi baltici.

Hack and leak, le nuove “Misure attive”

Hack and leak, le nuove “Misure attive”

Hacker’s Dictionary. Manipolazione dei comportamenti e dell’informazione, siamo nel mezzo di una “guerra cognitiva” dove i soldati sono cyberwarriors, hacker, troll e bot automatici.

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 19 Maggio 2022

Misure attive è un’espressione gergale usata dalla comunità dell’intelligence quando si parla di disinformazione. La disinformazione riguarda tutte le attività di manipolazione dell’informazione organizzate a un livello centrale e burocratico per inquinare le notizie mescolando il vero col falso e produrre crepe all’interno di un corpo sociale, seminando paura, incertezza e dubbio.

Il politologo Thomas Rid nel suo libro Misure Attive. Storia segreta della disinformazione (Luiss, 2022), distingue quattro fasi storiche del loro uso. Una prima, a cavallo tra le due guerre coincidente con la Grande Depressione in cui gli americani usano il termine political warfare, la seconda, durante la guerra fredda in cui si afferma nel blocco sovietico il concetto di dezinformatzija, e successivamente quella delle Misure Attive a ridosso della caduta del muro di Berlino. Ultima fase è quella attuale in cui le Misure Attive sono basate sull’hack and leak (hackera e diffondi).

Comunque si chiamino, le Misure Attive sono da cent’anni un elemento centrale dei conflitti che non sono combattuti con missili, droni e carri armati. Esse rappresentano la continuazione della guerra con altri mezzi, quando la guerra con mezzi militari non riesce a conseguire gli obbiettivi assegnati,m anche se spesso gli si affianca e la prepara.

L’annessione della Crimea alla Russia, il primo evento della guerra russo-ucraina iniziata nel 2014, è una storia esemplare di come le misure attive abbiano creato il contesto per l’invasione della penisola, ad esempio con la pubblicazione di email false, documenti leakati, rivelazione di scandali politici rivendicati da Anonymous Ukraine ma creati ad arte dai servizi segreti russi, Unità GRU 74455, e ritenute vere da molti attivisti. I nation state hacker russi in seguito hanno attaccato con armi cibernetiche le ferrovie, la rete elettrica e gli impianti industriali ucraini dal 2014 ad oggi.

La logica è questa: si decide di lanciare un’operazione militare, si trova un pretesto appropriato, magari di tipo umanitario, e poi si agisce militarmente per un cambio di regime. Una logica che, come racconta Marta Federica Ottaviani nel libro Brigate Russe (Ledizioni, 2022), evolverà nell’infowar teorizzata nella così detta “Dottrina Gerasimov” per superare i concetti di guerra ibrida, grigia e asimmetrica.

Che si parli di misure attive o di infowar, l’elemento centrale della disinformazione oggi è rappresentato dall’impiego di strumenti cyber per vincere la guerra cognitiva in rete. I soldati di questa guerra sono i cyberwarriors, gli hacker, i bot e i troll, di cui i russi, e non solo loro, hanno fatto largamente uso negli ultimi anni.

Secondo Rid la rivoluzione digitale ha alterato profondamente le basi della disinformazione.

L’Internet culture dell’hack and leak, dello steal and publish (ruba e pubblica) ha creato la copertura perfetta per la disinformazione dietro la difesa della libertà d’espressione, il culto dei whistleblower, la sostituzione del giornalismo con l’attivismo digitale, rendendo le misure attive più pericolose. L’hacking oggi consente di attuare le misure attive a distanza, di non usare la violenza fisica e di negarla senza problemi: “La cultura Internet sembra fatta apposta per la disinformazione di massa”. Il modo più diffuso per realizzare misure attive nel mondo occidentale è manipolare i media che negano la cyberwar. Forse per questo ci siamo accorti tardi che mentre applaudivamo gli Anonymous pro-Ucraina, quelli filorussi come Killnet e Legion si preparavano ad attaccare i siti dei nostri ministeri e le aziende italiane.

Il Manifesto: Giocare alla cybersecurity è una cosa seria

Giocare alla cybersecurity è una cosa seria

Hacker’s Dictionary. I servizi segreti presentano in una scuola romana Cybercity Chronicles, un videogame per apprendere le nozioni di base della sicurezza informatica. Presente Giuseppe Conte che pontifica sul diritto alla rete

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 18 Aprile 2019

La sicurezza si impara giocando. Dopo l’avvio in pompa magna il 4 dicembre 2017 “Be Aware, Be Digital”, la campagna di comunicazione sulla cybersecurity della Presidenza del Consiglio, sembrava finita nel dimenticatoio. E invece è ripartita con un gioco per ragazzi.

Presentato nientemeno che dal Presidente Giuseppe Conte in una scuola romana, il videogioco Cybercity Chronicles ha l’obbiettivo di insegnare ai più giovani e alle loro famiglie le basi della sicurezza informatica, il suo vocabolario, le trappole e i comportamenti virtuosi da tenere in rete. Il gioco, che riprende il mito di Teseo e Arianna, è ambientato in un futuro cyberpunk e, proprio come nei romanzi distopici di William Gibson, fa muovere i personaggi in un mondo underground pieno di pericoli informatici.

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