Hacking e disinformazione, la scuola russa

Hacking e disinformazione, la scuola russa

Hacker’s Dictionary. Quello tra criminalità cibernetica, hacktivismo e hacking di stato in Russia è un rapporto stretto. Un’analisi di Google-Mandiant ne offre le prove insieme agli arresti effettuati dai servizi segreti ucraini

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 29 Settembre 2022

Se qualcuno non aveva ancora capito il rapporto esistente tra l’hacking e la diffusione di notizie false ci hanno pensato i servizi segreti ucraini a mostrarglielo, arrestando un gruppo di cybercriminali specializzato nella vendita di account per diffondere disinformazione.

Le autorità ucraine, pur non rivelando i nomi degli arrestati, hanno fornito le prove dell’attività di un gruppo di hacker operanti a Lviv in possesso di circa 30 milioni di account appartenenti a cittadini ucraini ed europei venduti sul dark web.
Le perquisizioni effettuate nelle case dei sospettati hanno portato al sequestro di hard disk contenenti dati personali, cellulari, schede Sim e memorie flash usate per lo scopo.

Secondo le prime stime, il gruppo, pro-russo, avrebbe guadagnato circa 400mila dollari rivendendoli all’ingrosso attraverso sistemi di pagamento elettronici come Qiwi e WebMoney.

Nel comunicato stampa il Servizio di sicurezza dell’Ucraina (SSU) sostiene che i clienti sarebbero propagandisti pro-Cremlino: «Sono stati loro a utilizzare i dati identificativi di cittadini ucraini e stranieri rubati dagli hacker per diffondere false notizie dal fronte e seminare il panico».

Nel comunicato tuttavia non si spiega come gli hacker avrebbero operato ma solo che obiettivo alla base della campagna era «la destabilizzazione su larga scala in più paesi», e che gli account sono stati utilizzati per diffondere false informazioni sulla situazione socio-politica in Ucraina e nell’UE, precisando che «l’attività principale dei clienti degli hacker era proprio la creazione e la promozione di account nei social network e nei canali di messaggistica veloce».

In precedenza le autorità avevano chiuso due farm di bot da 7.000 account per diffondere disinformazione e creare panico nella regione. Un’attività legata a una fase della guerra russo-ucraina in cui i cittadini di alcune zone, soprattutto nel Donbass occupato, non ricevono né cibo né informazioni.

I pochi giornalisti che sono riusciti a parlarci infatti hanno dichiarato che gli ucraini sotto occupazione non conoscono l’entità dello scontro con Mosca, la percentuale di territorio occupata e se i propri congiunti siano vivi. Ma il rapporto tra criminalità cibernetica, hacktivismo e hacking di stato è anche più diretto.

Secondo Google-Mandiant quando gli hacker governativi russi attaccano, passano i dati rubati agli hacktivisti entro 24 ore dall’irruzione in modo da consentirgli di effettuare nuovi attacchi e diffondere propaganda filorussa.  Ad agire in questo modo sarebbero in particolare quattro gruppi non governativi: XakNat Team, Infoccentr, CyberArmyofRussia_Reborn e Killnet.

Tuttavia mentre XakNet si coordinerebbe con l’intelligence russa, Killnet, con cui collabora, sarebbe pronta ad attaccare chiunque se pagata. Qualche mese fa il collettivo, che ha anche bersagliato l’Italia, ha però incominciato ad ammantare le proprie azioni di patriottismo, diventando una celebrità grazie alle ospitate nella televisione russa. Mandiant ritiene che siano stati proprio gli hacktivisti russi a prendere di mira realtà Usa come Lockheed Martin con una serie di attacchi finora rintuzzati.

Recentemente gli hacker di stato come Sandworm, noti per il virus Industroyer, hanno impersonificato gli operatori di telecomunicazioni ucraini Datagroup ed EuroTransTelecom nei loro attacchi.

E lunedì scorso il governo ucraino ha anche diffuso un allarme circa massicci attacchi cibernetici sotto forma di malware e DDoS verso le infrastrutture energetiche del paese invaso e contro i suoi alleati come la Polonia e i paesi baltici.

Hack and leak, le nuove “Misure attive”

Hack and leak, le nuove “Misure attive”

Hacker’s Dictionary. Manipolazione dei comportamenti e dell’informazione, siamo nel mezzo di una “guerra cognitiva” dove i soldati sono cyberwarriors, hacker, troll e bot automatici.

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 19 Maggio 2022

Misure attive è un’espressione gergale usata dalla comunità dell’intelligence quando si parla di disinformazione. La disinformazione riguarda tutte le attività di manipolazione dell’informazione organizzate a un livello centrale e burocratico per inquinare le notizie mescolando il vero col falso e produrre crepe all’interno di un corpo sociale, seminando paura, incertezza e dubbio.

Il politologo Thomas Rid nel suo libro Misure Attive. Storia segreta della disinformazione (Luiss, 2022), distingue quattro fasi storiche del loro uso. Una prima, a cavallo tra le due guerre coincidente con la Grande Depressione in cui gli americani usano il termine political warfare, la seconda, durante la guerra fredda in cui si afferma nel blocco sovietico il concetto di dezinformatzija, e successivamente quella delle Misure Attive a ridosso della caduta del muro di Berlino. Ultima fase è quella attuale in cui le Misure Attive sono basate sull’hack and leak (hackera e diffondi).

Comunque si chiamino, le Misure Attive sono da cent’anni un elemento centrale dei conflitti che non sono combattuti con missili, droni e carri armati. Esse rappresentano la continuazione della guerra con altri mezzi, quando la guerra con mezzi militari non riesce a conseguire gli obbiettivi assegnati,m anche se spesso gli si affianca e la prepara.

L’annessione della Crimea alla Russia, il primo evento della guerra russo-ucraina iniziata nel 2014, è una storia esemplare di come le misure attive abbiano creato il contesto per l’invasione della penisola, ad esempio con la pubblicazione di email false, documenti leakati, rivelazione di scandali politici rivendicati da Anonymous Ukraine ma creati ad arte dai servizi segreti russi, Unità GRU 74455, e ritenute vere da molti attivisti. I nation state hacker russi in seguito hanno attaccato con armi cibernetiche le ferrovie, la rete elettrica e gli impianti industriali ucraini dal 2014 ad oggi.

La logica è questa: si decide di lanciare un’operazione militare, si trova un pretesto appropriato, magari di tipo umanitario, e poi si agisce militarmente per un cambio di regime. Una logica che, come racconta Marta Federica Ottaviani nel libro Brigate Russe (Ledizioni, 2022), evolverà nell’infowar teorizzata nella così detta “Dottrina Gerasimov” per superare i concetti di guerra ibrida, grigia e asimmetrica.

Che si parli di misure attive o di infowar, l’elemento centrale della disinformazione oggi è rappresentato dall’impiego di strumenti cyber per vincere la guerra cognitiva in rete. I soldati di questa guerra sono i cyberwarriors, gli hacker, i bot e i troll, di cui i russi, e non solo loro, hanno fatto largamente uso negli ultimi anni.

Secondo Rid la rivoluzione digitale ha alterato profondamente le basi della disinformazione.

L’Internet culture dell’hack and leak, dello steal and publish (ruba e pubblica) ha creato la copertura perfetta per la disinformazione dietro la difesa della libertà d’espressione, il culto dei whistleblower, la sostituzione del giornalismo con l’attivismo digitale, rendendo le misure attive più pericolose. L’hacking oggi consente di attuare le misure attive a distanza, di non usare la violenza fisica e di negarla senza problemi: “La cultura Internet sembra fatta apposta per la disinformazione di massa”. Il modo più diffuso per realizzare misure attive nel mondo occidentale è manipolare i media che negano la cyberwar. Forse per questo ci siamo accorti tardi che mentre applaudivamo gli Anonymous pro-Ucraina, quelli filorussi come Killnet e Legion si preparavano ad attaccare i siti dei nostri ministeri e le aziende italiane.

Il Manifesto: Giocare alla cybersecurity è una cosa seria

Giocare alla cybersecurity è una cosa seria

Hacker’s Dictionary. I servizi segreti presentano in una scuola romana Cybercity Chronicles, un videogame per apprendere le nozioni di base della sicurezza informatica. Presente Giuseppe Conte che pontifica sul diritto alla rete

di ARTURO DI CORINTO per Il Manifesto del 18 Aprile 2019

La sicurezza si impara giocando. Dopo l’avvio in pompa magna il 4 dicembre 2017 “Be Aware, Be Digital”, la campagna di comunicazione sulla cybersecurity della Presidenza del Consiglio, sembrava finita nel dimenticatoio. E invece è ripartita con un gioco per ragazzi.

Presentato nientemeno che dal Presidente Giuseppe Conte in una scuola romana, il videogioco Cybercity Chronicles ha l’obbiettivo di insegnare ai più giovani e alle loro famiglie le basi della sicurezza informatica, il suo vocabolario, le trappole e i comportamenti virtuosi da tenere in rete. Il gioco, che riprende il mito di Teseo e Arianna, è ambientato in un futuro cyberpunk e, proprio come nei romanzi distopici di William Gibson, fa muovere i personaggi in un mondo underground pieno di pericoli informatici.

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