Garante privacy – sweep patterns

COMUNICATO STAMPA

Design ingannevole, in arrivo un’indagine internazionale

L’iniziativa, organizzata dal Global privacy enforcement network, è in programma tra il 29 gennaio e il 2 febbraio

Saranno i modelli di design ingannevole presenti su siti web e app l’oggetto del “Privacy Sweep”, l’indagine conoscitiva a tappeto coordinata dal Global privacy enforcement network (GPEN), una rete internazionale di cui fa parte anche il Garante italiano.

Per quanto riguarda il nostro Paese, lo Sweep si concentrerà sui siti web e il giorno sarà scelto dall’Autorità in una data tra il 29 gennaio e il 2 febbraio, periodo individuato dal GPEN per coordinare l’azione.

Secondo la definizione del Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB), i modelli di progettazione ingannevoli sono interfacce e percorsi utente che cercano di influenzare le persone a fare scelte inconsapevoli riguardo al trattamento dei loro dati personali, non volute e potenzialmente dannose, spesso contrarie agli interessi degli utenti, ma favorevoli a quelli delle piattaforme.

I siti web e le app oggetto dello Sweep saranno analizzati secondo una serie di indicatori, che vanno dalla chiarezza dei testi alla progettazione dell’interfaccia, e che riguarderanno, ad esempio, la presenza di messaggi assillanti o di ostacoli o interazioni obbligate frapposti alle scelte.

In base ai risultati, ogni Autorità privacy potrà organizzare attività di sensibilizzazione sul tema, contattare i titolari per segnalare le criticità emerse dall’indagine o avviare istruttorie nei loro confronti.

Che cos’è il GPEN

Il Global privacy enforcement network è stato creato nel 2010, prendendo spunto da una Raccomandazione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) che invitava i Paesi membri a promuovere la creazione di una rete informale di Autorità privacy, e di altre parti interessate, per discutere gli aspetti pratici della cooperazione in materia di applicazione delle normative sulla protezione dati.

La partecipazione del Garante al GPEN

Roma, 23 gennaio 2024

Il secolo autoritario

Il Secolo Autoritario. Perché i buoni non vincono mai (Rizzoli, 2023), non è un libro, ma un metalibro, un libro di libri, un libro che va oltre il libro stesso. Ogni capitolo, ogni argomento rimanda infatti ad altri libri, annunciando un ipertesto che àncora la ricerca storiografica di cui è frutto. Il suo autore, Paolo Mieli, storico, giornalista, conduttore televisivo, affronta nel saggio temi millenari come la violenza del potere, l’eterogenesi dei fini e le ambiguità del governare per tratteggiare una storia sociale dell’autoritarismo.

Partendo dai regimi che nel Novecento hanno causato guerre e deportazioni, il Patto Molotov-Ribbentropp, l’agonia della Repubblica italiana prefascista e i massacri della Seconda guerra mondiale, lo storico si muove, diciamo con una certa agilità, a ritroso, fino alla congiura di Catilina passando per Gregorio VII l’innovatore populista e le teste tagliate di Murat. Infine, arriva all’antisemitismo endemico delle culture religiose e affronta il tema attualissimo della Cancel culture.

Pregevoli le pagine sull’invenzione di San Simonino che i frati francescani vollero santo per essere stato ammazzato, ma non era vero, dagli ebrei per impastare il pane dello shabbat col suo sangue di fanciullo. Interessante la riflessione sulla Cancel culture, autoritaria anch’essa, che si esprime sulla cosa più ignorata fra tutte: i monumenti che nelle nostre città nessuno guarda più. Belle le pagine sulla normalità del male dei carnefici che riattualizza il monumentale lavoro di Hannah Arendt.

Insomma, un’analisi dell’autoritarismo di pontefici, principi e dittatori che rintraccia nel presente i semi del nuovo autoritarismo. Una conclusione amara che sconta l’illusione, svanita, di un futuro di democrazia spinto da liberismo e liberalismo, che ha condizionato a lungo anche le istituzioni europee a dispetto della Guerra Fredda combattuta sul suo suolo. Illusione crollata davanti all’aggressività di Putin, con la Cina che si riprende Hong King, il ritiro ignominioso degli Usa dall’Afghanistan, fino a tutte le guerre combattute dall’Occidente per procura e che sono finite male: finalmente qualcuno ha il coraggio di dirlo.

L’autore, quindi, conclude con un’affermazione posta in forma di domanda: “Qualsiasi forma di incoraggiamento alle battaglie nel mondo a favore della libertà ha dato frutti avvelenati. Talché è doveroso chiederci se come autentico “secolo autoritario” non vada più considerato il ‘900 ma piuttosto quello attuale, il primo del terzo millennio. Il secolo in cui stiamo vivendo”.

La sicurezza nel cyberspazio

Internet e il World Wide Web hanno messo in crisi i tradizionali concetti giuspubblicistici di sicurezza e protezione, proiettandoci in uno spazio virtuale, il Cyberspazio, che nella sua virtualità ha effetti così reali da destare la preoccupazione degli Stati. Dell’evoluzione di questi concetti, safety, security e defense, tratta il libro La Sicurezza nel cyberspazio (Franco Angeli, 2023), curato da Riccardo Ursi docente di Diritto della Pubblica Sicurezza all’Università degli Studi di Palermo. Un testo corale che affronta i temi sia della governance che del government della cybersecurity.
Al cuore del testo si situa la riflessione sul nuovo ordine pubblico digitale, declinato come protezione delle condotte lesive nei confronti dei sistemi e delle reti informatiche: un ambito che coinvolge l’insieme delle misure di risposta e mitigazione progettate per tutelare reti, computer, programmi e dati da attacchi, danni o accessi non autorizzati, in modo da garantirne riservatezza, disponibilità e integrità. Un insieme di interessi primari da proteggere che qualifica la sicurezza cibernetica come funzione pubblica che mira a limitare e inibire pericoli e minacce alle persone.

Una funzione che fino all’inizio del secolo era ancora delegata in maniera massiccia al mondo privato-imprenditoriale che si occupava del disegno e della gestione dell’architettura cibernetica, in una dimensione della sicurezza avulsa dalla categorie giuridiche di cui si è sempre nutrita, la legittimazione, la polarità privato-pubblico, il nesso di spazialità-temporalità. Tra l’inadeguatezza dell’ultraregolazione come pure dell’esercizio del soft power esercitato sulle big tech per garantire il funzionamento democratico e l’esercizio delle attività economiche, dicono gli autori, lo sforzo della cybersecurity si è però venuto dettagliando attraverso la creazione di un modello organizzato e policentrico, più idoneo a monitorare e sorvegliare il fortino, a rafforzare i bersagli vulnerabili, a costruire sistemi resilienti in grado di continuare a funzionare durante un attacco, riprendersi rapidamente ed
eventualmente contrattaccare.


Dalla nascita dell’Enisa alla strategia dell’Unione Europea per la cybersicurezza del 2013, dal Cybersecurity Act del 2019 fino alla direttiva NIS II, gli autori ripercorrono le tappe, e ricostruiscono gli sforzi, politici, giuridici e legislativi che hanno puntato a mettere in sicurezza quel cyberspace, immaginato inizialmente dagli autori di fantascienza come un universo alternativo e che oggi rappresenta il nuovo mondo che tutti abitiamo. Una trattazione dettagliata è offerta nel libro al contesto italiano, al cui centro si situa la strategia che ha portato alla creazione della Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale che, di fronte al rischio cibernetico sempre più elevato, ha trasformato la precedente architettura nazionale di cybersicurezza contribuendo a rendere il paese un poco più sicuro e forse un poco più fiducioso nel futuro.

La sicurezza nel cyberspazio

Breve e Universale storia degli algoritmi

Breve e Universale storia degli algoritmi. Raccolta e narrata da Luigi Laura, è un testo di Luiss University Press pubblicato nel 2019 che ha il merito di continuare ad essere utile per chiunque voglia destreggiarsi nella comprensione delle innovazioni portate dall’intelligenza artificiale.

Il motivo è facile da intendere: gli algoritmi, quelli informatici, sono alla base dell’Intelligenza artificiale, costituendo essi il metodo con cui il calcolatore offre l’output atteso e sperato.

Ma gli algoritmi sono qualcosa di più. Dal nome latinizzato di un matematico arabo, Al Khuwarizmi, la cui opera fu tradotta da Leonardo Pisano, detto Fibonacci, gli algoritmi venivano usati già nel 1800 a.c. per fare operazioni matematiche. Un metodo che Fibonacci divulgò prima a Firenze e poi in Toscana e da Venezia si diffusero in Europa, proprio sostituendo le cifre indoarabe di Al Khuwarizmi ai numeri romani per facilitare I commercianti nel fare di conto.

Pensate, in un’epoca in cui I conti si facevano con l’abaco, I banchieri cominciarono a usare l’algoritmo della moltiplicazione per gestire I tassi d’interesse, mettendo in allarme le autorità che ritenevano quel nuovo metodo un modo per cifrare (e quindi rendere illeggibili) i conti e pagare meno tasse.

Ma il metodo indoarabo prese piede a dispetto delle autorità perché era più comodo per fare le quantro oeprazioni di calcolo principali: addizione, sottrazione, divisione, moltiplicazione, che non sono altro che algoritmi. Fibonacci ci era riuscito integrando la matematica indiana e araba con la matematica euclidea.

Gli algoritmi però li usava anche Giulio Cesare. Come? Ogni volta che inviava un messaggio cifato ai suoi generali. Per essere chiari: l’algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari: per cifrare e decifrare un testo occorre usare un algoritmo: nel caso del cifrario di Cesare si doveva usare la sostituzione monoalfabetica a base 3. Altri tempi, però poi arriveranno la Pascalina, il computer universale di Turing e il world wide web che in un modo o nell’altro usano gli algoritmi.

Oggi però gli algoritmi informatici decidono l’andamento dei mercati azionari, quanto costano I libri su Amazon e che film il tuo account Netflix ti raccomanderà di guardare.

Settemila giornalisti minacciati dal 2006 in Italia: 500 nel 2023

Ossigeno pubblica i dati aggiornati del suo monitoraggio per l’anno in corso, dati importanti e significativi raccolti anche grazie al sostegno dell’ASR.

Questi ultimi dati dicono con i numeri com’è andata quest’anno. Dicono che il numero totale dei minacciati rilevati e verificati da Ossigeno per l’Informazione ha raggiunto quota settemila, che il raffronto dei nostri dati con quelli del Viminale conferma che diminuisce la percentuale dei giornalisti che denunciano le minacce e che l’Italia risulta il paese con più giornalisti minacciati.

Aiuta Ossigeno a fare circolare questi dati

GIORNALISTI MINACCIATI IN ITALIA: SETTEMILA DAL 2006, 500 NEL 2023

Sindacato dei giornalisti: le sfide per il 2024

Sindacato dei giornalisti: le sfide per il 2024
  Care colleghe e Cari colleghi,   il 2023 si è chiuso, letteralmente, con la “sospensione” di 17 giornalisti della Dire decisa dall’editore e comunicata agli interessati la notte di San Silvestro. Un atto grave, odioso, inedito, privo di ogni fondamento di diritto, a soli tre giorni dai licenziamenti illegittimi e immotivati di altri 14 colleghi. A rischio c’è il futuro della stessa agenzia di stampa, attualmente estromessa dai contributi pubblici previsti per l’informazione primaria. E’ la conseguenza di una vicenda giudiziaria che vede imputata la precedente proprietà.  Chiediamo all’editore di ritirare tutti i provvedimenti contro i giornalisti e al governo, che si è impegnato per il settore delle agenzie, di assicurare le risorse necessarie alla Dire.

Questa vertenza, particolarmente grave, fa parte di una lunga serie che ha scandito quasi quotidianamente questi mesi di attività dell’Associazione: RCS-Gazzetta dello Sport, GEDI- Stampa, Mondadori, Messaggero, Editoriale Nazionale (Giorno, Resto del Carlino, Nazione), Tempo, Avvenire, San Paolo (Famiglia Cristiana), Giornalisti Indipendenti (Latina Oggi, Ciociaria Oggi), Pamom, Secolo d’Italia, Pd, Redattore Sociale, Agenzia AREA, Edimotive, National Geographic, Blitz quotidiano, Metro.

E’ la fotografia della crisi del settore editoriale, ma anche dell’inadeguatezza degli strumenti in campo per affrontarla. Nelle vertenze, nelle procedure, siamo stati e siamo accanto ai colleghi delle redazioni e ai Cdr, insieme alla Fnsi, assicurando assistenza sindacale e legale, aiutandoli il più possibile a migliorare gli accordi, anche quando non esistevano le condizioni per la sottoscrizione da parte dell’Associazione. Gli editori puntano da anni solo ai prepensionamenti, accompagnati dagli ammortizzatori sociali per le redazioni, per abbattere il costo del lavoro. Da tempo si può ricorrere allo stato di crisi persino con i bilanci in attivo, prevedendo contrazioni future dei ricavi.

Così le redazioni si svuotano (ogni due uscite c’è un’assunzione e non deve essere necessariamente di un giornalista), i prodotti editoriali si impoveriscono e, in un circolo vizioso, la crisi si aggrava ulteriormente.

E’ necessario mettere in discussione la legge 416 sui prepensionamenti, che devono tornare a essere strumenti straordinari, e prevedere nuove forme di sostegno per l’editoria che puntino sugli investimenti, per valorizzare i contenuti originali e non il commercio dei dati degli utenti.

Dobbiamo mobilitarci per il rinnovo del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico, scaduto da troppi anni e nei fatti disapplicato da molti editori.

L’inflazione sta erodendo fortemente il potere d’acquisto delle retribuzioni, troppo basse soprattutto per i giovani, per i precari, i collaboratori esterni. Bisogna aprire una grande vertenza per l’occupazione, per superare il precariato “strutturale” e la pratica indecente del “depotenziamento” del Contratto Nazionale e degli accordi aziendali imposto in molte realtà illegittimamente e unilateralmente dagli editori.

Qualche segnale positivo arriva per i free lance: il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha licenziato la proposta sull’Equo Compenso, che ha recepito le istanze del sindacato, e di Stampa Romana in particolare, sulla liquidazione giudiziale delle spettanze dei freelance e dei lavoratori non subordinati.  Se il ministero della Giustizia darà il suo via libera l’iter si avvierà a conclusione e i compensi dei giornalisti che sono fuori dalle redazioni saranno parametrati alle retribuzioni di chi è negli organici redazionali.

Ci siamo occupati anche dei giornalisti impiegati nella pubblica amministrazione. Con una oggettiva difficoltà, dovuta alle norme in vigore, agli accordi sulla rappresentanza che ci penalizzano. Su questo è necessario riaprire il confronto con le istituzioni, la politica e i sindacati degli altri lavoratori.

Siamo stati impegnati anche in molte vertenze individuali: casi di violazioni di diritti contrattuali, di pretestuosi provvedimenti disciplinari, di mobbing o addirittura di stalking. Rivelano non solo l’aggressività degli editori, ma anche l’imbarbarimento dei rapporti nelle redazioni, riguardano a volte anche la questione della parità di genere. Siamo stati accanto ai giornalisti intimiditi e minacciati, spesso troppo soli, soprattutto in quelle aree della nostra regione in cui è tangibile la presenza della criminalità organizzata.

Fondamentale è l’attività sul nostro territorio di Ossigeno per l’Informazione, l’osservatorio sui cronisti minacciati e le notizie oscurate. Abbiamo cercato di garantire ai colleghi servizi, ci proponiamo di assicurarne di nuovi.  A cominciare da quelli destinati ai pensionati, che hanno a che fare non più con il “familiare” Inpgi (che comunque resta per collaboratori e liberi professionisti), ma con il mastodontico Inps.

Grazie anche alla preziosa collaborazione del mio predecessore Lazzaro Pappagallo, e all’apporto di tanti generosi colleghi, abbiamo continuato il lavoro sulla formazione professionale. Vogliamo implementarla, anche per garantire nuove forme di sostegno per il nostro sindacato, che vive dell’abnegazione di pochi dipendenti e dell’assoluto volontariato di chi è negli organismi, senza eccezioni, ma ha visto contrarsi drasticamente i consistenti fondi versati dall’Inpgi e in prospettiva dovrà farne a meno.

Promuoveremo anche una nuova testata on line dell’Associazione, sul lavoro in genere, sul giornalismo che cambia, sulle professioni “culturali” nella nostra regione.

Saremo presto impegnati nella revisione dello Statuto, per rendere il sindacato più inclusivo ed efficiente. Ma non esiste un sindacato forte, e capace di aprirsi a tutto il mondo dell’informazione, anche a quello attualmente fuori dal nostro perimetro di rappresentanza, senza una professione solida.

La riforma dell’Ordine, in Parlamento, non basta. Occorre ricostituire una comunità, capace di ascoltare e di ascoltarsi, di studiare, di essere solidale soprattutto con i più deboli, di rivendicare con orgoglio la sua funzione sociale e democratica, che sappia discutere delle regole del   servizio pubblico radiotelevisivo, del mercato pubblicitario, dei rischi delle concentrazioni editoriali, dei rapporti con i colossi del web, che si schieri senza esitazione contro le norme che attaccano il diritto di cronaca. L’emendamento Costa è solo l’ultimo dei provvedimenti contro il diritto di informare ed essere informati, già penalizzato dalla legge Cartabia.

Occorre approfondire due temi che sono già centrali e lo saranno sempre di più, temi legati a doppio filo: l’Intelligenza Artificiale, i suoi rischi concretissimi e immediati per l’occupazione e la professione, e la tutela del diritto d’autore dei giornalisti. Questioni su cui abbiamo promosso, con il sindacato nazionale, una riflessione, essenziale anche per riaprire il confronto sul prossimo contratto.

Ci aspetta un cammino difficile, che deve sovvertire il clima di sfiducia, a volte di rassegnazione, che   da qualche anno grava sulla nostra categoria. Obiettivo impossibile senza il coinvolgimento di nuove energie, di giovani, senza la partecipazione di tutti e senza unità. Ci batteremo sempre perché il sindacato unitario dei giornalisti resti tale, contro ogni tentativo di divisione, che darebbe vantaggi personali a pochissimi, indebolirebbe tutti gli altri.

Proprio all’Associazione Stampa Romana abbiamo dimostrato e stiamo dimostrando che il sindacato di tutti i giornalisti non è solo necessario, ma possibile.  

Grazie a tutti, buon anno.   Stefano Ferrante

Sindacato cronisti romani, un 2024 di rivincite.

Presto Agenda e Premio cronista, via al tesseramento
  La pretesa di controllo delle notizie da parte delle Procure, gli ostacoli posti dalle amministrazioni all’esercizio del diritto d’informazione, la legge in itinere sulla diffamazione che prefigura nuovi bavagli, il divieto alla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, non giustificabile con eccessi o forzature del passato.

Dura la vita dei cronisti. Un mestiere sempre più osteggiato, a dispetto dell’articolo 21 della Costituzione.

Il Sindacato cronisti romani (Scr) rilancia il suo impegno, proponendo per l’anno appena cominciato due iniziative a breve termine: la pubblicazione e diffusione (gratuita, abbinata alla sola iscrizione) dell’Agenda del cronista, indispensabile strumento di lavoro quotidiano, e il premio “Cronista dell’anno 2024” (bando consultabile nel sito). Dopo il lancio del video-decalogo contro la violenza di genere e l’apertura della casella postale “Sos cronisti”, rivolta a tutti i colleghi che intendano denunciare minacce e intimidazioni, pressioni, querele temerarie, stalking o mobbing in redazione, difficoltà di accesso alle fonti, ma anche lavoro nero e sottopagato, si tratta di due nuovi segnali di presenza della storica “voce” dei cronisti della capitale. Per qualsiasi comunicazione la mail disponibile, alla quale forniranno il supporto necessario tutti i membri del consiglio direttivo, è segretariogenerale at sindacatocronisti.it

Le quote d’iscrizione 2024 al Scr sono: 20 euro giornalisti attivi, 15 pensionati e 10 disoccupati (versamenti all’Iban IT62A0760103200000054167002).

Così in una nota Fabrizio Peronaci e Roberto Mostarda, presidente e segretario del Sindacato cronisti romani.