La Regina della Rete

La Regina della Rete. Le origini del successo digitale di Giorgia Meloni, (Graus Edizioni, 2022) è un piccolo saggio di Domenico Giordano che prova a elencare i motivi per cui “Internet non vince le elezioni, ma senza te le fa perdere”. Un adagio che, applicato al premier Meloni, racconta come l’oculata presenza in rete dell’attuale Presidente del consiglio abbia favorito un dialogo quasi personale con i suoi elettori e con quelli che non lo sono, aiutandola a creare quel rapporto di fiducia sui cui è basato ogni successo alle urne. Perché, come dice l’autore, un like non equivale a un voto, ma per l’elettore non ideologizzato e deluso, questa comunicazione fatta di like, di messaggi a cui rispondere real time, lo aiuta a mettersi nella condizione di indossare il vestito buono della domenica e andare a votare.

Nella letteratura sociologica che parla di piattaformizzazione della società, e che spiega le influenze elettorali con i bias di conferma, i backfiring effects, o il concetto di bandwagon (salire sul carro del vincitore, ovvero il carro con i corifei e i musicanti) e la disinformazione, non c’è accordo su quale effetto valga di più. Allora l’unica strada è stare a quello che abbiamo sperimentato: l’inatteso successo dei 5Stelle grazie a un blog e ai meet-up online; i risultati della “Bestia” di Salvini; il dilagare del PD online fino al 2014 e adesso l’incoronamento di Giorgia Meloni. Insomma, bisogna ammettere che esiste un dividendo digitale, che in questo caso, come dice Giordano: “L’onda lunga generata dalle piattaforme social indiscutibilmente ha supportato, prima, l’affermazione di Giorgia Meloni quale leader credibile alla guida del Paese e, in ultimo, quella elettorale di Fratelli d’Italia. Il successo delle urne ha consegnato a Giorgia Meloni lo scettro di regina dei social network, grazie a una serie di record che consolidano la capacità di presidio delle piattaforme. In un crescendo che l’ha portata a tallonare prima e superare poi Matteo Salvini e tutta la galassia grillina e pentastellata incarnata in primis da Giuseppe Conte”.  

E, come ribadisce allo sfinimento lo stesso Giordano, che non crede nella Likecrazia di Tommaso Capezzone, nei tre mesi precedenti l’elezione sono state 12 milioni le reaction incamerate da Facebook per Giorgia e poco più di 8 milioni quelle dell’account Instagram, che sono un indice del consenso poi visto nelle urne. Un like non è un voto, ma i followers, prima o poi, votano.

Libri per l’estate: Social network e benessere

Entrare in un social network è come entrare in un casinò. Sai quando entri e non sai quando esci. Il motivo è semplice: i social sono progettati per creare attaccamento e dipendenza, dandoti poco e togliendoti molto attraverso l’illusione del controllo e della partecipazione. Nei social, come nei casinò, non sei padrone di quello che fai, le regole cambiano continuamente e il banco vince sempre. Però ti puoi giocare la reputazione anziché i soldi.

Secondo alcune ricerche (Kaspersky, 2021), la maggior parte dei giovani utenti intervistati vorrebbe poter cancellare i post che ha realizzato. Ma non sa come farlo. Quasi 1 dipendente su 3 ha ammesso di aver controllato i profili social dei colleghi, e di averli giudicati sulla base di ciò che hanno trovato. Il 42% degli intervistati ha inoltre affermato di conoscere qualcuno il cui lavoro o la cui carriera è stata influenzata negativamente da un contenuto postato sui social media in passato. Il 38% degli utenti afferma che il proprio profilo social non lo rappresenti in modo autentico.

Così il divertimento si tramuta in angoscia, paura di essere tagliati fuori, di non piacere abbastanza. I social sfruttano la psicologia spicciola delle persone e la voglia di esserci, di essere visti, di essere amati, come sostiene Raffaele Simone in Il mostro mite (2010). Ma è il conflitto la molla che ci tiene attaccati allo schermo con tutti gli effetti che conosciamo: casse di risonanza, effetto bandwagon, bolle informative.

Facebook, Twitter, Instagram, sono progettati per farci reagire in maniera emotiva (Infocrazia, Byung Chul Han, 2023) e, quando non si hanno molte occasioni di confrontarsi e di ragionare, l’impulso a litigare sui social durante la guardia al capannone, l’attesa del cliente che entra in negozio, tra un’e-mail di lavoro e un’altra, fa uscire fuori il lato peggiore di noi, irriflessivo e pulsionale, e nascono le shitstorm (Nello Sciame, Byung Chul Han, 2015).

Nonostante questo dato di fatto molti di noi boomer usano ancora Facebook. Ma Facebook è irriformabile e sbaglia chi pensa altrimenti. Nasce per essere uno strumento di sorveglianza commerciale e tale rimane la sua community, un allevamento di consumatori, profilati, schedati e attribuiti a specifiche categorie merceologiche per il profitto degli inserzionisti pubblicitari. E senza disdegnare di offrire il proprio contributo a partiti, media tycoon e spie di stato che usano la propaganda computazionale per creare consenso intorno a qualche idea politica o commerciale o disorientarci a suon di notizie false.

Le «fake news» di cui i social come Facebook e gli altri sono intrisi, rappresentano un problema cibernetico e psicologico perché proliferano proprio sui canali social dove incontriamo amici e parenti di cui ci fidiamo e quelli che abbiamo selezionato come appartenenti alla nostra cerchia, il famoso «effetto bolla». La loro riproducibilità a costo zero le rende virali e, come non sappiamo fermare le fake news, non siamo in grado di contrastare efficacemente troll, meme e fake video.

Le notizie false, prodotte con l’intento di modificare sentimenti e opinioni, sono una minaccia per la democrazia. La disinformazione che fa perno sulle bufale è da sempre un’arma in mano agli Stati per mettere in crisi gli avversari e disseminare paura, informazione e dubbio. Una tecnica che, con l’aumentare dell’importanza dell’opinione pubblica che si esprime nei social, è sfruttata per delegittimare le istituzioni e inquinare il dibattito scientifico. Sappiamo che gli esseri umani non sanno distinguere tra notizie vere e notizie false, che spesso non vogliono farlo e che, al contrario di quanto accade con i virus, invece di difendersi ne aiutano la propagazione per ottenere un vantaggio individuale.

A dispetto dei solenni impegni presi anche nel passato recente, i social non contrastano i bufalari.

Ormai abbiamo accumulato una letteratura consistente sul tema e anche i saggi divulgativi ne parlano in maniera precisa. Testi come Gli Obsoleti di Jacopo Franchi (2021) spiegano come l’utente non sia padrone del proprio profilo e che sono gli algoritmi e i moderatori che decidono cosa si può vedere e cosa no.

Disinformatia di Francesco Nicodemo (2017) e La macchina dello storytelling di Paolo Sordi (2018) descrivono il potere narrativo dei social media che mette all’asta desideri e bisogni degli utenti. Liberi di Crederci di Walter Quattrociocchi (2018) come e perché nascono le bufale, Il mercato del consenso, di Chris Wylie (2020), ci ha spiegato come Facebook sia ingegnerizzato per irretire i suoi utenti, Postverità ed altri enigmi (2022) di Maurizio Ferraris va alla radice delle peggiori litigate che scoppiano sotto un post.

Se proprio non vogliamo fare quello che Jaron Lanier dice in Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (2018), leggendo Il Manuale di disobbedienza digitale di Nicola Zamperini (2018) possiamo cominciare a imparare come difenderci.

Come dice lo storico ebreo Yuval Noah Harari nel suo 21 lezioni per il XXI secolo (2018), non esiste soluzione al problema dei pregiudizi umani che non sia la conoscenza. La razionalità è un mito e il pensiero di gruppo più potente di qualsiasi verifica. Ci abbiamo costruito sopra ideologie politiche e religioni millenarie.

La magistratura e i social network

La magistratura e i social network

Palazzo Bachelet – piazza Indipendenza 6 – Sala conferenze

Giovedì 16 maggio 2024

Prima sessione – La comunicazione social

Ore 15.30 Saluti istituzionali:

Fabio PINELLI           
Vicepresidente del CSM

Marcello BASILICO  
Presidente della Sesta commissione CSM

Ore 16.00 Relazione Introduttiva

Luigi FERRAJOLI   
già magistrato, Professore emerito filosofia del diritto – Università Roma 3

Ore 16.45 Coffee break

Ore 17.00 Dialogo a due:

Paolo BENANTI  
Presidente della Commissione sull’intelligenza artificiale – presidenza CdM

                              Membro del Comitato ONU sull’intelligenza artificiale

Adriano FABRIS  Professore di filosofia morale – Università di Pisa

                              Direttore del Master in comunicazione pubblica e politica

Coordina Antonio PREZIOSI  Direttore TG2

Ore 18.00 Dibattito

Venerdì 17 maggio 2024

Seconda Sessione – Quali limiti alla comunicazione dei magistrati

Ore 9.00-11.00 Presiede Roberto ROMBOLI, Presidente Ufficio studi e documentazione e Vicepresidente della Sesta Commissione CSM

relazioni di

Massimo LUCIANI  
Professore emerito di istituzioni diritto pubblico – Università La Sapienza Roma

Giuseppe CAMPANELLI  
Professore ordinario di diritto costituzionale – Università di Pisa

Margherita CASSANO  
Prima Presidente della Corte di Cassazione

Luigi SALVATO  
Procuratore generale presso la Corte di Cassazione

Luigi MARUOTTI  
Presidente del Consiglio di Stato

Ore 11,30

interventi programmati Gianluca GRASSO  Consigliere della Corte di Cassazione

                                      Michele PAPA  Presidente della Nona commissione CSM

a seguire, dibattito

Ore 13.00 Light lunch

Venerdì 17 maggio 2024

Terza Sessione – I magistrati e i social

Ore 14,30 Tavola rotonda

Coordina Arturo DI CORINTO  
Giornalista

Nunzia CIARDI
Vicedirettrice generale dell’Agenzia per la cybersecurity nazionale

Andrea MASCHERIN
Avvocato, già Presidente del Consiglio Nazionale Forense

Giuseppe SANTALUCIA
Consigliere Corte di Cassazione – Presidente ANM

Patrizia TULLINI
Professoressa ordinaria di diritto del lavoro – Università di Bologna

Presidenza e relazione finale: Giovanni Maria FLICK  già Presidente della Corte costituzionale e Ministro della giustizia

PSICOPOLITICA

Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere, Byung Chul Han (Nottetempo, 2016).


Più siamo connessi, più siamo sottomessi. L’uso devozionale dello smartphone, quasi un rosario, che ludicizza ogni attività, ogni esperienza, è lo strumento della sottomissione. Attraverso di esso ci auto monitoriamo e ci offriamo al potere impersonale dei Big Data. L’analisi dei Big Data servirà a estrarre profili sociometrici dei soggetti liberamenti servi di cui prevedere ogni futuro comportamento: per associazione con quelli precedenti, e con quelli di chi ci somiglia.
È questa l’espressione più compiuta del dataismo, la religione dei dati, che tutto calcola e tutto misura.
In questa sottomissione volontaria, questo automonitoraggio, che si sviluppa secondo le linee di costruzione del capitalismo della sorveglianza, emerge la faglia di frattura che, secondo Byung-Chul Han, distingue la biopolitica dalla psicopolitica. Per il filosofo coreano, naturalizzato tedesco, la biopolitica è infatti basata su presupposti disciplinari, intesi nel senso foucaultiano del termine, mentre la psicopolitica è l’autocontrollo del comportamento orientato all’ottimizzazione della performance, ma trasvestito da divertimento.
Mentre si sente l’eco delle parole di Shoshana Zuboff (che più estesamente ha sviluppato il concetto di capitalismo della sorveglianza), le tesi di Han non sono molto diverse da quelle di Raffaele Simone, psicolinguista e filosofo italiano, che ha definito “mostro mite” questa ludicizzazione della comunicazione che produce dati per l’industria estrattiva del web, al fine di profilare i comportamenti, segmentare i consumatori, targettizzare gli elettori, addomesticare il dissenso.
Il libro è stato pubblicato in Italia nel 2016, quando ancora non c’era ChatGPT, ma questa sottomissione volontaria al potere, e il suo prodotto, la generazione di dati predittivi, possiamo ben immaginare che sia il pranzo di gala dell’Intelligenza Artificiale che da quell’industria della sorveglianza nasce, estraendone il sapere sconfinato della comunicazione sociale.

Net-War. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra

Net-War. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra è l’ultimo libro di Michele Mezza per Donzelli Editore (2023). La Net War è per l’autore una guerra ibrida combattuta a colpi di informazione; una guerra in cui saperi e abilità tecnologiche hanno sostituito i sistemi d’arma; una guerra che rovescia le gerarchie e sposta il campo di battaglia. In questa guerra secondo Michele Mezza i cittadini hanno dato forma a una specie di open source del combattimento visto che ognuno, collegandosi con i sistemi e i dispositivi che la rete offre, ha potuto opporsi alle forze convenzionali sul campo. Quindi per l’autore, giornalista, già ideatore di Rainews24 quando era dirigente in Rai, poi docente universitario incaricato, la Net war non è tanto una digitalizzazione dell’informazione nel conflitto ma il modo in cui si combatte il conflitto, usando l’informazione. La Rete in questa guerra ibrida è luogo, strumento e logistica della guerra.

Per parlare di questa evoluzione della guerra l’autore chiama quindi in causa il giornalismo che la guerra la racconta, ma anche come professione investita dalla stessa, per rispondere a una domanda: che cosa sono l’informazione e la conoscenza al tempo della Rete e dell’Intelligenza artificiale? Come si trasforma la professione del giornalista quando si riduce il suo ruolo di divulgatore e quando smette di essere l’unico ed il primo ad accedere alle fonti informative? E come l’informazione, che è sempre anche intelligence, viene arruolata nella guerra? Insomma, come si trasforma l’informazione?

Michele Mezza abbozza delle risposte a partire dalla concettualizzazione della “società civile come arsenale” fino all’apporto che grandi aziende come quelle di Elon Musk hanno dato alla modificazione del concetto di guerra nella dottrina militare occidentale. E finisce con una dissertazione su come il potere dell’algoritmo, che decide il destino dell’informazione in Rete, interferisca sulle psicologie degli eserciti in divisa e no, visto che oggi la guerra è soprattutto interferenza psicologica. E qui forse basterebbe ricordare il grande giornalista e propagandista Walter Lippmann: “Quando tutte le notizie sono di seconda mano e ogni testimonianza si fa incerta, gli uomini cessano di rispondere all’autorità e rispondono solo alle opinioni”, separate dai fatti.

Democrazia Futura. Alle Radici dell’odio in rete. Polarizzazione disinformazione vanità e infelicità

Democrazia Futura. Alle Radici dell’odio in rete. Polarizzazione disinformazione vanità e infelicità

Comportamenti e consumi nelle reti di persuasione sociale. Nell’era del capitalismo della sorveglianza ogni azione che intraprendiamo online viene raccolta per uno scopo: modellare noi e il nostro comportamento, per prevedere meglio cosa faremo. Queste previsioni sono il petrolio dell’era digitale.

di Arturo Di Corinto per Democrazia Futura n.2/2021