La Repubblica: È il Document Freedom Day “per l’accessibilità informatica”

È il Document Freedom Day
“per l’accessibilità informatica”

La giornata internazionale per gli standard informatici aperti, voluta dagli attivisti per la libertà del software impegnati a promuovere l’interoperabilità dei softwaare per evitare chiusure tecnologiche a danno di cittadini e consumatori
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 28 Marzo 2012

Non riesci a compilare il modulo scaricato online per la tua domanda d’assunzione? Non riesci più a leggere la tesi di laurea scritta col vecchio Microsoft Word? La pagina che hai appena stampato è piena di caratteri incomprensibili? Beh, è ora di smetterla.

Per questo il 28 marzo 2012 si celebra in tutto il mondo il Document Freedom Day, la giornata internazionale per gli standard informatici aperti. Dopo aver aiutato industrie e governi a metabolizzare i software a codice sorgente aperto sia nella produzione che nell’erogazione di servizi, gli attivisti per la libertà del software sono oggi impegnati a promuovere l’interoperabilità dei programmi informatici per evitare chiusure tecnologiche a danno di cittadini e consumatori. E lo fanno a modo loro, con una festa che ha l’obiettivo di replicare il successo del Linux Day. Continua a leggere La Repubblica: È il Document Freedom Day “per l’accessibilità informatica”

La Repubblica: Nomine alla Rai e all’Authority “Diritto alla comunicazione”

Nomine alla Rai e all’Authority
“Diritto alla comunicazione”

Sotto il cartello “Vogliamo trasparenza”, una vasta coalizione di gruppi di cittadini, associazioni di categoria e imprese chiede al Parlamento e ai partiti di rispettare merito e trasparenza nelle nomine dei consiglieri Rai, Agcom e Garante Privacy. Per tutelare il diritto all’informazione e la democrazia
di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 27 Marzo 2012

Con un’iniziativa senza precedenti un’ampia coalizione di gruppi e associazioni chiede di ripensare il metodo delle nomine della Rai e delle Autorità di Garanzia in scadenza. Cda della televisione pubblica, presidenti e commissari Agcom e Privacy, si chiede che siano selezionati in base a criteri di merito e trasparenza. Senza inciuci tra i partiti. Il sito della campagna Vogliamotrasparenza è pronto, i canali social attivati e i contributi cominciano ad arrivare con idee a dir poco rivoluzionare per “il paese delle segrete stanze”. L’appello della campagna è sintetizzato nelle brevi dichiarazioni del manifesto: “Tra poche settimane Parlamento e Governo nomineranno il nuovo Consiglio di amministrazione della RAI ed i nuovi componenti del Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. 16 uomini dai quali dipende in buona parte il futuro dell’informazione nel nostro Paese e, conseguentemente, la misura di libertà e democrazia della quale disporremo.” Il giudizio sul passato è molto duro e le intenzioni chiare: “Sin qui, la loro nomina è avvenuta nel buio delle segrete stanze del Parlamento e di Palazzo Chigi, lontano dallo sguardo indiscreto dei cittadini, al riparo dall’attenzione dei media e, soprattutto, al di fuori di ogni meccanismo di selezione scientifico e meritocratico. Le conseguenze di tale sistema di selezione sono evidenti: scarsa indipendenza dai mandanti politici, poca competenza ed assoluta assenza di trasparenza nelle dinamiche che ne hanno, sin qui, guidato l’operato. E’ ora di dire basta.”
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Emergency, The hacker’s Dictionary: Civic Journalism in Siria

The Hacker’s Dictionary: Civic Journalism in Siria
Arturo Di Corinto
per Emergency – il blog – 23 marzo 2012

Civic journalist o giornalista civico è un giornalista non professionista che usa Internet per rivolgersi alla propria comunità di riferimento o ad una audience globale. Usa le piattaforme di pubblicazione aperta offerte dalla rete per denunciare un torto, esporre una testimonianza, invitare alla mobilitazione contro un’ingiustizia, raccontare una verità ignorata o nascosta dai media.

Alla fine di febbraio di quest’anno almeno sette giornalisti sono stati uccisi per il loro lavoro di testimonianza di quanto accade in Siria. Lo stesso è accaduto a molti netizens. Il giornalista civico Basil Al-Sayed è stato ucciso a Homs il 29 Dicembre. Aveva filmato moltissime dimostrazioni e la brutale repressione delle forze di sicurezza dall’inizio delle rivolte in Syria. Il fotografo e videoreporter Ferzat Jarban è stato ucciso dopo l’arresto avvenuto a Homs. Soleiman Saleh Abazaid, responsabile della pagina Facebook “Liberated people of Horan” è stato ucciso il luglio scorso. Lo scrittore e attivista Hussein Issou’s è scomparso e si teme per la sua vita.
Moltissimi giornalisti e blogger siriani sono stati arrestati e rapiti, molti torturati in prigione. Sedici persone spono state arrestate il 16 febbraio scorso in un bliz della polizia nel Syrian Centre for Media and Freedom of Expression a Damasco, compreso il direttore Mazen Darwish. Questi i loro nomi Yara Badr, Razan Ghazzawi, Hanadi Zahlout, Hussein Greir, Hani Z’itani, Sana Z’itani, Rita Dayoub, Joan Farso, Bassam Al-Ahmad, Mayada Al-Khalil, Maha Al-Assablani, Mansour Hamid, Abdelrahman Hamadah, Ayham Ghazzoul and Shady Yazbek. Nove di loro sono ancora in carcere. Tutto questo è raccontato nell’ultima indagine di Reporters senza Frontiere sulla cybercensura. Continua a leggere Emergency, The hacker’s Dictionary: Civic Journalism in Siria

Loop: Chi sono, cosa pensano e cosa vogliono i nuovi soggetti del conflitto in rete

Chi sono, cosa pensano e cosa vogliono i nuovi soggetti conflittuali della rete
Arturo Di Corinto
per LOOP magazine – aprile 2012

Prima c’era l’activism. L’azione diretta che si concretizzava negli scioperi, nei cortei, e nell’occupazione di strade (reclaim the streets), piazze ed edifici. Poi è venuto l’hack-tivism, l’azione diretta in rete con tecniche di hacking, e i cortei e le occupazioni sono diventate virtuali, dal netstrike ai Distributed denial of services. Poi ancora è arrivato il mediactivism, che si è sostanziato nel racconto mediatico delle proteste di piazza e nella diffusione virale dell’informazione in rete. Infine, col web 2.0 ha fatto la sua comparsa il clicktivism, l’adesione a petizioni, mobilitazioni e proteste, reali e virtuali, con un colpo di click, senza staccare gli occhi dallo schermo del computer. Ma mentre questa nuova modalità di partecipazione coinvolgeva i grandi numeri dei social network, a compensare questa ondata di “slacktivism”, l’attivismo fannullone, cioè quello che dopo il click si disinteressa della reale entità del cambiamento prodotto, si è assistito al revival dell’hacktivism con defacciamenti, virus politici, attacchi Ddos. Cosa è accaduto? E’ accaduto che la crisi economica e finanziaria ha risvegliato la coscienza delle ingiustizie e portato singoli, gruppi e movimenti a riorganizzarsi su due fronti: la comunicazione e il sabotaggio. Che sono da sempre le due strategie di risposta all’ingiustizia proprie dei movimenti sociali in rete.

Comunicazione e sabotaggio
I movimenti sociali in rete hanno sempre avuto una grande quantità di iniziative legate alla comunicazione e il loro rapporto avanguardistico con gli strumenti ordinari della comunicazione ha prodotto le fanzine ciclostilate, le radio indipendenti, il videoteatro, il documentario politico, fino ai siti web e ai software di comunicazione gratuiti. Da Radio Alice a Seattle 1999, alle azioni di Anonymous c’è quindi un filo conduttore che passa per Indymedia, Wikileaks e il movimento Occupy Wall Street.

Gli ingredienti della messa in opera della contestazione sono uguali e diversi, rappresentano in molti casi l’evoluzione tecnica di strumenti e forme di comunicazione precedenti: personal media (dal fax ai telefoni cellulari, dai camcorder ai videotelefoni, dai siti ai blog), software gratuiti e open source per l’editing di testi, audio e video, l’ubiquità dell’accesso a Internet (dai BBS al wi-fi), e poi social network e piattaforme di blogging e whistleblowing. Tutto per una produzione di informazione indipendente, dal basso, orientata al sabotaggio dei flussi di comunicazione di un potere “che non risiede più in strutture stabili e definite” ma è organizzato intorno a dati, messaggi e informazioni.

Se la creazione di tools come software, server e servizi di messaggistica per la comunicazione indipendente ha subito un arresto con l’affermarsi dei social network e del web 2.0 – che ha portato anche i più radicali ad avere un account Facebook (il Partito Pirata) -, si sono sviluppate nuove forme di comunicazione e sabotaggio a cavallo tra l’estrazione di informazione protetta e la sua comunicazione al pubblico più ampio. E’ il caso di Wikileaks. Ottenere informazioni sensibili e offrire al pubblico quelle di cui il potere si vergogna è stata la sua arma più potente fin dalle origini. Ma prima c’erano stati gli hacker del Chaos Computer Club che negli anni ’80, penetrati nel sistema informatico del Comune di Berlino avevano acquisito le informazioni sulle case comunali sfitte per passarle al movimento dei senza casa. E hanno fatto scuola. Anche l’hacking può ricorrere alla violazione di sistemi informatici protetti (cracking) se ha un fine etico. Continua a leggere Loop: Chi sono, cosa pensano e cosa vogliono i nuovi soggetti del conflitto in rete

La Repubblica: Un clone di YouTube e spam su Twitter così la Siria combatte contro i web-attivisti

Un clone di YouTube e spam su Twitter
così la Siria combatte contro i web-attivisti

Una copia esatta del sito di condivisione video per rubare le password agli utenti, prendere possesso dei loro pc e individuarli. E’ solo l’ultima mossa del governo di Assad contro la rivolta popolare che va avanti da oltre un anno. E le organizzazioni internazionali cercano di aiutare la popolazione di ARTURO DI CORINTO
per La Repubblica del 20 marzo 2012

L’esercito elettronico siriano combatte senza mai fermarsi. Con la richiesta di reinserire username e password per commentare i video di un falso Youtube i sostenitori di Assad sono riusciti a impadronirsi degli account di numerosi attivisti antigovernativi siriani e li hanno spinti verso siti infettati di virus. La mossa potrebbe servire a scovare gli attivisti e andarli a prendere nelle loro case. A denunciarlo è la Electronic Frontier Foundation

Il sito incriminato in questo momento non è più raggiungibile ma la EFF consiglia vivamente di fare attenzione a siti simili che sono carichi di virus. L’operazione di “cyberwarfare” (guerra cibernetica) è stata condotta probabilmente da agenti governativi e ha usato due tecniche diverse. Prima, con una nota strategia di phishing i gestori del falso sito cercano di ottenere username e password con la scusa di poter lasciare dei commenti, poi iniettano nel computer del malcapitato dei virus potenti con la richiesta di aggiornare il software flash per vedere correttamente i video. Poichè una volta installati tali virus danno a costoro un accesso amministrativo al computer dell’utente la EFF ha creato una guida online per rimuoverli.
Non è la prima volta che accade e le tecniche messe in campo sono diverse. Solo pochi giorni prima di denunciare il clone di YouTube la la EFF aveva annunciato la scoperta di XtremeRAT – un software Trojan diffuso via email e messaggistica – nei sistemi usati dagli attivisti siriani. Il virus è particolarmente potente poichè consente di catturare l’attività della webcam, di registrare i tasti premuti sulla tastiera del pc, di “sniffare” password e inviare queste informazioni a un server che fa riferimento a un IP Siriano. Continua a leggere La Repubblica: Un clone di YouTube e spam su Twitter così la Siria combatte contro i web-attivisti

La Repubblica: Agcom può oscurare i siti pirata? “Attacco ai diritti fondamentali”

Agcom può oscurare i siti pirata?
“Attacco ai diritti fondamentali”

Delibera, tutto da rifare. Secondo un parere chiesto all’ex presidente della Consulta Valerio Onida, un’autorità amministrativa può fare a meno dei giudici per chiudere un sito che viola il copyright e gli Internet Service Provider devono oscurarlo. Rodotà: “Non si può escludere la competenza dell’autorità giudiziaria” di ARTURO DI CORINTO
per La Repubblica del 14 marzo 2012

Il diritto d’autore non è più soltanto affare di avvocati perché incide sempre di più su come produciamo e consumiamo cultura. Eppure continuano a proliferare iniziative legislative tese a regolamentare per via amministrativa un aspetto tanto importante della nostra società senza che vi sia un adeguato dibattito pubblico e parlamentare. L’ultima in ordine di tempo è la delibera Agcom (688/2010) che il vertice dimissionario dell’Autorità italiana per le comunicazioni vuole licenziare prima della scadenza del mandato avvalendosi anche del parere di un rispettato giurista come Valerio Onida. La delibera, fotocopia di leggi americane e frutto di pressioni lobbistiche rivelate anche da Wikileaks, mette al centro la possibilità di oscurare per via amministrativa siti web che violano il diritto d’autore e chiama gli Internet Service Provider a svolgere azioni di contrasto alla pirateria. Continua a leggere La Repubblica: Agcom può oscurare i siti pirata? “Attacco ai diritti fondamentali”

La Repubblica: Iperconnessi ma anche fragili Chi vince nel nuovo mondo?

Iperconnessi ma anche fragili
Chi vince nel nuovo mondo?

Una ricerca del Pew Internet Project e della Elon University riflette sul rischio di essere sempre connessi per giovani e adolescenti. E si divide di ARTURO DI CORINTO
per Repubblica del 13 Marzo

Giovani e adolescenti cresciuti con la presenza costante di Internet sono capaci di dedicare la propria attenzione a molte cose contemporaneamente. La rete è per loro una protesi cognitiva e la consuetudine al suo utilizzo fa in modo che imparino ad affrontare il mondo e i suoi problemi in maniera diversa dai genitori e dagli adulti. Una ricerca della Elon University e del Pew Internet Project sostiene che gli effetti dell’esposizione costante alle informazioni in rete influenza grandemente gli stili di vita dei giovani. In maniera positiva, almeno per ora. I 1000 esperti intervistati nella ricerca predicono infatti che la generazione cresciuta con Internet, i cosiddetti “Millennial” corre il rischio di non sapere esercitare l’attesa, la pazienza, e il pensiero critico, proprio a causa dell’ “iperconnessione”.
Che si tratti infatti di di twittare, googlare, likare o messaggiare, la generazione AO (Always On, “sempre connessa”), è costituita da un gran numero di collettori di informazione. Se sfruttano con competenza il potere dell’intelligenza connettiva, o rischiano di trasformarsi in “droni” manipolabili con scarsa capacità d’attenzione è un dibattito aperto. Continua a leggere La Repubblica: Iperconnessi ma anche fragili Chi vince nel nuovo mondo?

Emergency, The Hacker’s Dictionary: Crowdsourcing

The Hacker’s Dictionary: Crowdsourcing
Arturo Di Corinto
per Emergency – il blog – 13 marzo 2012

Crowdsourcing è un termine coniato nel 2006 da Jeff Howe. Con questa parola si indica l’esternalizzazione dell’attività di un ente o di un’azienda a una moltitudine di persone attraverso una open call. Crowdcreation è un neologismo che dovrebbe descrivere abbastanza bene quello che fanno i redattori di Wikipedia. Crowdfunding è invece il termine che indica il finanziamento distribuito di un’opera per consentire al suo autore di realizzarla. Tutti e tre fanno perno sul concetto di crowd, folla, e risentono del framework concettuale elaborato da James Surowiecki nel suo “The wisdom of the crowds”, la saggezza della folla, in una rielaborazione ottimistica della “Pazzia delle folle. Ovvero le grandi illusioni collettive” di Charles Mackhay.
In effetti, in barba ai facili ottimismi, secondo cui grazie alle piattaforme del web 2.0 tutti possono offrire le proprie competenze sul mercato globale senza essere legati né a un posto di lavoro fisso né a una particolare azienda e collaborare a processi collettivi di produzione (il progetto di un’automobile, una nuova linea di abbigliamento, giocattoli tecnologici), spesso il crowdsourcing si rovescia nel suo contrario.
Le aziende si appropriano dei risultati dell’intelligenza connettiva mettendoci sopra un marchio e chiudendoli col copyright, senza pagare nessuno. La crowdcreation dei volontari di un progetto non-profit e che rimane tale, senza pubblicità e finanziamenti pubblici come Wikipedia, ha ovviamente un senso diverso, mentre il crowdfunding per inchieste giornalistiche ha il merito di finanziare la produzione di notizie che non arriverebbero forse mai sul desk della redazione.
La Wikinomics, l’”economia del wiki” descritta da Dan Tapscott è tutto questo.
A dispetto di quello che si può pensare, tuttavia a volte funziona. Cineama è un progetto collaborativo su web tutto italiano che riunisce le tre dimensioni distinte del crowdsourcing, crowdfunding e crowdcreation per realizzare cinema di qualità, mettendo insieme artisti, pubblico e distribuzione. Magari funziona, basta crederci. www.cineama.it

La Repubblica: Contro i bavagli sul web ecco il “digital survival kit”

Contro i bavagli sul web
ecco il “digital survival kit”

ARTURO DI CORINTO
per Repubblica del 12 Marzo 2012

Oggi 12 marzo si celebra la giornata mondiale contro tutte le censure su internet. Il lunghissimo elenco degli abusi – nei regimi dittatoriali e non solo – denunciati nell’ultimo rapporto di Reporters Sans Frontiéres. Che propone gli strumenti adatti per poter cifrare le informazioni di

Oggi, 12 marzo 2012, è la giornata mondiale contro la censura su Internet. Chiesta da varie associazioni per i diritti umani e la libertà d’informazione, è stata lanciata da Reporters senza frontiere che in un lungo comunicato denuncia i regimi autoritari che fanno la guerra alla libertà d’informazione ma anche le ipocrisie dei governi occidentali. La censura è un tema scottante nell’era digitale. Con 120 cyberdissidenti arrestati, il ripetuto blocco dei servizi di messaggistica telefonica e dei servizi Internet, l’aumento di fatturato delle imprese che vendono sistemi di sorveglianza elettronica e la risposta mondiale degli hacktivisti alla censura, la libertà d’informazione è infatti diventato un tema d’interesse internazionale che ha già generato le prime schermaglie diplomatiche.
(http://en.rsf.org)
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Articolo 21: Liberalizziamo il futuro. Le associazioni per l’Italia digitale adesso puntano al decreto semplificazioni

Liberalizziamo il futuro. Le associazioni per l’Italia digitale adesso puntano al decreto semplificazioni
Arturo Di Corinto per
Articolo 21 del 4 Marzo 2012

Votata la fiducia sul “Decreto liberalizzazioni”, anche le proposte di emendamento più virtuose per fare dell’Italia un paese digitale in grado di creare innovazione e posti di lavoro sembrano finite nel dimenticatoio.
Eppure in una conferenza stampa dal titolo evocativo, #liberalizziamoilfuturo, diverse associazioni per i diritti digitali e la libertà di comunicazione avevano presentato un pacchetto di emendamenti al decreto legge liberalizzazioni per fare di Internet un volano di sviluppo, innovazione e apertura del mercato. Agorà Digitale, Altroconsumo, Articolo 21, Associazione Italiana Internet Provider, Associazione Italiana per l’Open Government, Assoprovider, Istituto per le Politiche dell’Innovazione, Libertiamo e gli Stati Generali dell’Innovazione, insieme allo Studio Legale Sarzana, hanno chiesto: una procedura di assegnazione onerosa delle frequenze, la riforma del diritto d’autore, la cancellazione del bollino e la fine del monopolio della Siae, sconti per libri e ebook e altro ancora, per consentire all’Italia di fare un salto nel futuro.
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L’Unità: La politica al tempo di twitter

L’Unità: La politica al tempo di twitter
3 Marzo 2012

Il 2012 anno di grandi elezioni: dal voto di ieri in Russia, alla Francia, agli Stati Uniti. Il filo comune è che tutti i contendenti si stanno lanciando su Internet, in modo particolare Twitter; lo ha fatto persino Sarkozy che ha raccolto un suggerimento di Liberation. È per questo che Unitag ha scelto – dice il vicedirettore dell’Unità, Luca Landò introducendo la discussione – di analizzare il rapporto tra web e politica. Molti sono convinti che Obama deve la sua vittoria anche alla rete, Sarkozy la sta scoprendo, in Russia media-attivisti hanno svelato la regia del regime dietro alle manifestazioni pro Putin.
Attorno al tavolo di Unitag, Sara Bentivegna (docente di Comunicazione politica alla Sapienza di Roma), Arturo Di Corinto (esperto di comunicazione e consigliere presso la Presidenza del Consiglio dei ministri), Luca Nicotra (segretario di Agorà digitale), Vincenzo Smaldore (tra i fondatori di Open Polis). E Cesare Buquicchio, caposervizio di Unita.it.
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Emergency: Internet è un diritto umano

Diritto di navigazione
Arturo Di Corinto
per E-il mensile di Emergency
di Marzo 2012

“Internet non è un diritto umano”. Questa dichiarazione di uno dei “padri di Internet”, Vinton Cerf, ha suscitato moltissime critiche.
La principale argomentazione di Cerf è che Internet in quanto tecnologia, sia solo un mezzo e non un fine. Sbagliato. Internet non è un semplice mezzo, ma un ambiente di interazione che oggi si identifica immediatamente con la possibilità di comunicare. E la comunicazione è un bisogno umano basilare, un processo sociale fondamentale e il fondamento di ogni organizzazione sociale. Comunicare significa conoscere, lavorare, emanciparsi dal bisogno, dalla povertà, dall’oppressione politica e religiosa. Perciò Internet é uno strumento primario per ottenere il rispetto dei diritti fondamentali, come la libertà di parola e il diritto al lavoro. La democrazia politica infatti non può fare a meno della democrazia economica. Internet è la più grande agorà pubblica della storia e permette di esercitare la democrazia in forme e numeri prima impensabili, garantendo trasparenza, confronto, partecipazione. Come farebbero altrimenti gli abitanti dei villaggi cinesi a denunciare la deviazione di un fiume che asseta le loro campagne in un paese che non rispetta la libertà di stampa? Non si tratta “solo” di diritto all’informazione. Internet è anche una piattaforma commerciale, un insieme di mercati, un luogo dove si producono e distribuiscono beni, un luogo dove si pubblicizzano e si commerciano servizi. Dietro queste attività, che sono fatte di email, siti web, blogs e social networks, ci sono delle persone, che nei paesi in via di sviluppo non potrebbero creare ricchezza e opportunità altrimenti. Pensate alle cooperative di contadini indiani che trattano via Internet il prezzo delle sementi o alle donne marocchine che ricevono gli ordinativi per i loro tappeti via email. E allora non è neanche un semplice strumento di comunicazione, ma è un fondamentale strumento di sviluppo del potenziale di ciascuno di noi. Forse Internet non è un diritto umano, ma l’accesso a Internet sicuramente sì.

La Repubblica: Svelate le linee guida di Facebook per punire gli abusi degli utenti

Svelate le linee guida di Facebook per punire gli abusi degli utenti
Arturo Di Corinto

Per La Repubblica del 23 Febbraio 2012

Un documento trapelato per l’indignazione di una giovane precaria addetta al controllo delle lamentele di Facebook svela la policy aziendale su come trattare i presunti abusi commessi dai suoi utenti.

Secondo le linee guida di Facebook, diciassette pagine di manuale, ogni moderatore sa esattamente cosa può rimanere in bacheca e cosa va eliminato. In seguito alla segnalazione di un abuso delle regole del social network, interviene un team dedicato dopo una massiccia operazione di filtraggio di aziende terze, che fanno questo lavoro in appalto. Diviso in categorie “Sesso e Nudità,” “hate contents “, “Bullismo e molestie”, “Minacce”, il manuale prevede che non si possano pubblicare foto di donne che allattano al seno, fare inviti sessuali espliciti, rappresentare giocattoli e feticci erotici in contesti sessuali, immagini ritoccate con photosphop in una luce negativa, o usare un linguaggio esplicito e violento.
Nessuna novità, dirà qualcuno, ma dai documenti trapelati dall’azienda che si occupa di moderare e censurare questi contenuti, la oDesk, si apprende, per via di un’arrabbiatissima ventunenne marocchina, pagata 1 dollaro ad ora per questo “sporco” lavoro, che da adesso in poi i capezzoli sono e saranno considerati volgari, ma non le teste spappolate e i fludi corporei.
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La Repubblica: L’Unesco non invita Wikileaks al convegno sui media dopo i cablo

L’Unesco non invita Wikileaks al convegno sui media dopo i cablo
A Parigi si tiene un appuntamento su come è cambiato il mondo dei media dopo l’avvento del sito di informazioni riservate che ha diffuso i dispacci americani lo scorso anno e lo scandalo di News of The World. Assange e i suoi protestano. Gli organizzatori rivendicano il diritto di “invitare chi gli pare” di ARTURO DI CORINTO
per La Repubblica del 16 febbraio 2012

Wikileaks è stata bandita dalla Conferenza su Wikileaks. L’Unesco, che ha organizzato per oggi e domani nella sua sede di Parigi il convegno “The Media World after WikiLeaks and News of the World”, non ha accettato la richiesta dei rappresentanti di Wikileaks di partecipare all’incontro.

L’iniziativa, cui sono stati invitati 37 relatori – fra cui i rappresentanti delle testate che hanno collaborato con Wikileaks per diffondere i cablogrammi USA oggetto dello scandalo dell’anno scorso -, ha infatti l’obiettivo di riunire esponenti del mondo dei media, giornalisti professionisti e occasionali, avvocati e esperti, per parlare di giornalismo tradizionale e giornalismo partecipativo nell’era digitale. In particolare di etica del giornalismo, libertà d’espressione e Internet. Wikileaks ha protestato per questa esclusione ed ha diramato un duro comunicato in rete in cui ridicolizza gli organizzatori che, per motivare il proprio diniego, si sono appellati a una peculiare interpretazione della libertà d’espressione dicendo di “avere la libertà di invitare chi gli pare”, testualmente: “freedom of expression… our right to give voice to speakers of our choice”. Un approccio fortemente contestato dalla portavoce di WL, Kristinn Hrafnsson che ha dichiarato: “L’Unesco ha il dovere di assicurare giustizia e equilibrio nelle discussioni dell’organizzazione. E’ chiaro che non è questo il caso, considerata la selezione degli speakers. Una scelta disonorevole per l’ Unesco e potenzialmente dannosa per WikiLeaks” Intanto sulla rete è partita l’iniziativa #OccupyUnesco. Continua a leggere La Repubblica: L’Unesco non invita Wikileaks al convegno sui media dopo i cablo

Articolo 21: E’ sempre e solo il giornalista a guardia della liceita’, della correttezza e della completezza dell’informazione

E’ sempre e solo il giornalista a guardia della liceita’, della correttezza e della completezza dell’informazione.
Arturo Di Corinto per
Articolo 21 del 14 febbaio 2012

Le 5 “W” del giornalismo non esistono più. Who, what, where, when, why (chi, cosa dove, quando e perchè), sono state sostituite dalle cinque “S”: sport, spettacolo, sangue, sesso e soldi. Lo ha detto il presidente dell’Ordine dei Gionalisti Enzo Iacopino, stamattina, alla presentazione del libro curato da Mauro Paissan, “Privacy e Giornalismo. Libertà di informazione e dignità della persona” a piazza Montecitorio a Roma. A motivare tale cambio di paradigma sarebbe, secondo Iacopino, proprio la ricerca spamosdica dello scoop di un giornalismo che non si ferma neanche di fronte al rispetto dei più deboli e che solletica le passioni meno nobili di un’audience che assume spesso tratti morbosi.
Un esempio? La pubblicazione degli stralci del diario di Sara Scazzi. Un’operazione difficilmente interpretabile come esercizio del diritto-dovere d’informazione quanto piuttosto come l’invasione nella vita privata di una ragazza uccisa in circostanza tragiche, della quale solo con l’intervento del tanto criticato Ordine dei Giornalisti è stato possibile bloccare la diffusione delle foto del corpo straziato.
Il tema è ampiamente dibattuto: dove finisce il diritto all’informazione e comincia il rispetto della dignità della persona? Il libro che Paissan ha curato cerca di rispondere a questo tipo di domande tramite una raccolta di casi esaminati dal Garante nel suo ultimo settenato (che scade il 17 aprile), ma è anche una raccolta di aneddoti, regole, principi, carte deontologiche ed esempi di come si possa fare un’informazione civile, “migliore antidoto a ogni tentativo di censura” come ha dichiarato Giulio Anselmi, presidente dell’Ansa e della Fieg, anche lui presente al dibattito.
Continua a leggere Articolo 21: E’ sempre e solo il giornalista a guardia della liceita’, della correttezza e della completezza dell’informazione

ACTA and Copyright 2.0: Di Corinto interviews Bruce Perens

Let’s talk of copyright and about Bruce Perens. Ok?

Yes. I have been on both sides of the copyright issue. I worked at Pixar for 12 years and have had 19 years of full-time employment in the film industry. I am credited on Toy Story II and A Bug’s Life. I later became one of the founders of the Open Source movement in software, and left Pixar to pursue that. Today I help governments, companies, and lawyers understand Open Source. I’m also an Open Source software author, and am about to release a new content-management system for the Ruby on Rails rapid application development platform. I live in Berkeley, California, with my wife and 12-year-old son.

So, you can see that I’ve been on both sides of the copyright issue: I’ve made technology for feature films and have worked on the films themselves, and bought a home with my income from Pixar’s IPO. Then in my second career I made Open Source software and helped people worldwide to share the things they make, and companies and governments to understand this.

1) The juncture of conflicting interests frequently leads to a clash between copyright and other basic institutions (fundamental user rights) in our society, particularly the freedom of speech, privacy and Internet access. Is copyright, as we have known it for three centuries, an appropriate tool for the needs of creators and society in a digital environment as SOPA, Pipa and Scotus suppose?

The problem isn’t really whether copyright is appropriate, it is that there is presently no balance of the rights of the copyright holder versus the good of society. This came about because only the very large copyright holders have been represented in the drafting of copyright law, for at least a century. It is as if there had been elections in which only one party was allowed to vote. Of course the laws become progressively more extreme in such a situation. Continua a leggere ACTA and Copyright 2.0: Di Corinto interviews Bruce Perens

ACTA and Copyright 2.0: Di Corinto interviews Philippe Agrain

Philippe Aigrain is co-founder of La Quadrature du Net a citizen group defending freedoms and fundamental rights in the digital environment. He has just published “Sharing: Culture and the Economy in the Internet Age”, Amsterdam University Press, http://www.sharing-thebook.net

Hello dear Philippe—

Here are the questions:
1) The juncture of conflicting interests frequently leads to a clash between copyright and other basic institutions (fundamental user rights) in our society, particularly the freedom of speech, privacy and Internet access. Is copyright, as we have known it for three centuries, an appropriate tool for the needs of creators and society in a digital environment as SOPA, Pipa and Scotus suppose?

Copyright and the exclusive control on copies part of author rights are deeply inadapted to the digital environment. In the era of work on carriers, copyright was never meant to regulate the acts of the public (the reader for instance). In the digital environment, an exclusive control on copies could exist only by depriving two billion individuals (and soon more) from basic capabilities of copying and exchanging files. This impossibility of such a control has not yet been recognized by all, and thus we see an ever expanding series of increasingly harmful laws such as SOPA, PIPA or the ACTA treaty that the European Parliament will reject or ratify in the coming months. But other rights, such as the social rights of authors and other contributors to creation to be recognized and remunerated remain fully valid. It is just the way in which they can be implemented that is deeply modified. We must find ways of rewarding and financing creative activities that do not require controlling individual acts by the public.
Continua a leggere ACTA and Copyright 2.0: Di Corinto interviews Philippe Agrain

Articolo 21: Tutti contro l’Acta

Tutti contro l’Acta
L’accordo anticontraffazione per la difesa della proprietà intellettuale non convince neppure i governi. Manifestazioni in 200 città. Anche il presidente del Parlamento UE è contrario.
Arturo Di Corinto
per Articolo 21 del 14 febbraio 2012

L’Acta non decolla. Aumentano le proteste contro l’Accordo internazionale sulla proprietà intellettuale firmato il 26 gennaio da 40 paesi tra cui molti europei. Dopo i dubbi dell’ambasciatrice slovena a Tokio, le dimissioni del relatore francese per il commercio internazionale (INTA) Kader Arif, le riserve di Estonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia, il rinvio della firma del trattato Anticontraffazione da parte della Germania mette in forse la sua applicazione all’intera Europa in virtù del ruolo di hub commerciale della locomotiva europa guidata dalla Merkel.
I motivi di queste riserve sono diversi, ma nelle decisioni sovrane di quei paesi questi sono i principali: il testo dell’accordo non è stato negoziato da tutti quelli invitati a firmarlo, le trattative si sono svolte in gran segreto, i Parlamenti non sono stati adeguatamente informati e lascia troppo spazio all’indeterminatezza della sua applicazione pur chiamando in correo soggetti specifici, gli Internet Service provider e le piattaforme di distribuzione dei contenuti come Google, quando si tratta di violazione della proprietà intellettuale sul web. Se non bastasse, propone una clausola relativa alla sua interpretazione e implementazione che non è andata giù a molte diplomazie, la creazione di un “Comitato ACTA” incaricato di rivederne norme e sanzioni e di rinegoziarlo in corsa dopo la sua firma da parte dei singoli aderenti.
L’accordo di anticontraffazione ACTA, è infatti un accordo multilaterale che, a dispetto del nome, si occupa di standardizzare e tutelare i diritti di proprietà intellettuale in tutte le sue forme, come definito dagli accordi Trips e Trips plus, cioè dal copyright al segreto industriale passando per i brevetti, ipotecando pesantamente la circolazione di idee e informazioni in Europa e all’estero fino a rappresentare un pericolo per i diritti civili e la stessa libertà di Internet. Continua a leggere Articolo 21: Tutti contro l’Acta

L’Espresso: Ma il copyright è un diritto naturale?


Ma il copyright è un diritto naturale?
L’attuale legislazione a difesa del diritto d’autore è inadatta al nuovo contesto digitale
di Arturo Di Corinto per L’Espresso (08 febbraio 2012)

Nel suo ultimo libro, “Infringement Nation” (Una nazione di trasgressori), John Tehranian ha calcolato l’ammontare delle multe che una persona potrebbe dover pagare per violazione ripetuta del copyright nell’arco di un’intera giornata. Il risultato è di alcuni milioni di dollari. Quello del libro è un caso estremo e paradossale, ma ognuno di noi si può identificare nel professore del racconto. Come il protagonista di Tehranian, oguno di noi infatti viola copyright quando rispondendo a una email ne riproduce il messaggio originario; quando annoiato dalla riunione ridisegna le architetture del Guggenheim di Barcellona, quando a lezione distribuisce fotocopie di libri per un’esercitazione, quando fotografa un’opera d’arte e la pubblica sul web, quando canta Happy Birthday alla festa di compleanno di un amico, quando include nel suo filmato il poster dell’atrio del cinema dove si trova in compagnia, quando incorpora il codice di youtube di un serial televisivo nel suo blog e così via. Nessuno forse interverrebbe per arrestare il nostro trasgressore, la tutela del copyright è una questione di numeri e di danno economico potenziale, ma da questo esempio si capisce perchè molte delle ultime battaglie intorno a Internet si sono combattute intorno alla tutela del copyright. Continua a leggere L’Espresso: Ma il copyright è un diritto naturale?

La Repubblica: Hacker in campo contro i corrotti

Hacker in campo contro i corrotti. GlobaLeaks, la denuncia in p2p
Un gruppo di italiani esperti di tlc, privacy e sicurezza, ha messo a punto un sistema open source per l’invio e l’archiviazione sicura in rete di documenti scottanti. Senza che terze parti possano intercettare il mittente. Un evoluzione di WIkileaks, ma decentralizzato. Ecco come funziona di ARTURO DI CORINTO per La Repubblica del 5 febbraio 2012

E se potessimo denunciare il capo senza ritorsioni? Il 30 gennaio è stata consegnata la relazione della commissione anticorruzione al ministro Patroni Griffi il quale, in una nota, ha precisato che fra le varie misure suggerite è necessario prevedere un sistema di premi per il funzionario pubblico che denuncia le corruttele garantendogli l’anonimato. Nelle proposte che andranno a integrare il ddl anticorruzione si specifica che ciò possa essere garantito per legge. C’é da fidarsi?

Un’idea per esserne sicuri viene da un gruppetto di hacker italiani, esperti di telecomunicazioni, privacy e sicurezza. Si chiama GlobaLeaks. (http://www.GlobaLeaks.org) E’ un tool open source che con un doppio click permette di implementare un sistema completo per l’invio e l’archiviazione sicura di documenti scottanti senza che terze parti possano intercettare il mittente assicurandogli l’anonimato. La logica che ispira il progetto è la stessa di Wikileaks, garantire la trasparenza di fatti di interesse pubblico, ma a differenza del progetto capitanato da Julian Assange, non prevede un’organizzazione centralizzata per funzionare, e nemmeno una redazione sconosciuta che si incarica di valutare la qualità delle informazioni. Con GlobaLeaks è l’organizzazione che decide di usare lo strumento, ad esempio l’ufficio trasparenza di un ente pubblico, a gestire la piattaforma. La sua semplicità d’uso sopperisce al maggior freno che spesso incontrano i soggetti in cerca di informazioni riservate: la mancanza di competenze tecnologiche per avviare attività simili, e che richiedono un livello di sicurezza pari all’importanza dei dati che vogliono trattare. Continua a leggere La Repubblica: Hacker in campo contro i corrotti

La Repubblica: Dietro il risiko dell’ACTA, minaccia globale alla libertà


Dietro il risiko dell’ACTA, minaccia globale alla libertà
Che cosa muove il trattato anticontraffazione firmato da 22 dei 27 paesi UE a Tokyo, quali sono i suoi punti deboli e come impatterà nell’ecosistema web. L’Italia sarà legalmente vincolata a questo accordo anche se il Parlamento italiano non è mai stato informato nel merito dei contenuti di ARTURO DI CORINTO per Repubblica del 31 gennaio 2012

VENTIDUE dei ventisette paesi membri dell’Unione europea hanno firmato il Trattato anticontraffazione “ACTA” 1 a Tokyo, ma già a dicembre il Consiglio Europeo lo aveva adottato durante un incontro su agricoltura e foreste. Un fatto che ha suscitato una vasta opposizione fra i cittadini e la chiamata in causa dell’Europarlamento che dovrà ratificare l’accordo o rigettarlo, entro giugno. Nel frattempo il relatore Ue del trattato per il commercio internazionale, Kader Arif, si è dimesso denunciando l’accordo come una pagliacciata, in Polonia sono scesi in piazza per contestarlo, Anonymous ha attaccato siti e agenzie in risposta, e un vasto movimento d’opinione oggi scuote la rete per chiederne l’abrogazione. In un’analisi appena diffusa dalla coalizione anti-Acta si spiega perché 2.
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Arcireport: ACTA, una guerra politica


ACTA: una guerra politica
Arturo Di Corinto
per ARCIREPORT anno X, n. 4, 31 gennaio 2012

E così ce l’hanno fatta. Le grandi multinazionali sono riuscite a imporre all’Unione Europea la firma del trattato ACTA, l’accordo globale anticontraffazione. Con la scusa di tutelare i diritti di proprietà intellettuale dei produttori di farmaci, alimenti, canzoni e film dalla pirateria globale, poche corporations sono riuscite ad anteporre i propri profitti alla libertà di espressione, di ricerca, di cooperazione, mettendo a rischio economie di sussistenza, il diritto alla salute e alla cultura e trasformando Internet in uno stato di polizia. Continua a leggere Arcireport: ACTA, una guerra politica

Emergency: Quando il clic diventa un tic


Attivismo 2.0: “friending”, “liking”, “commenting”, “retweeting”. Solo la consapevolezza genera impegno
Arturo Di Corinto
per E-il mensile di Emergency
di Febbraio 2012

All’nizio c’era l’attivismo. Diverso dalla militanza nei partiti e nelle associazioni, l’”activism”, é l’azione diretta dei movimenti di base per denunciare un torto, contestare una scelta politica e dare voce alla protesta sociale su questioni specifiche. Poi è venuto l’hack-tivism, l’attivismo al computer, l’azione diretta in rete con tecniche da hacker, e dopo ancora il media-attivismo, l’uso consapevole e critico di telecamere, televisioni di strada e web-tv autogestite. Oggi va di moda l’attivismo 2.0. Giovani e meno giovani hanno abbracciato i social media (il web 2.0) per promuovere campagne sociali e fare attivismo oltre le forme tradizionali degli scioperi, delle occupazioni, dei boicottaggi, dei cortei e delle petizioni virtuali.
Questa nuova forma di attivismo che si esprime nel “Mi piace” di Facebook, nel commentare un video su Yutube o “retwittare” un post, pretende di contribuire a una singola causa con un piccolo atto pratico, un semplice click, ma spesso si risolve nel suo peggiore estremo, il clicktivism. Puoi twittare una causa e votarla su Facebook senza coinvolgerti in nessuna azione diretta o sentire che sei importante per il suo successo. Quel gesto ripetuto si trasforma allora in “slacktivism”, l’attivismo fannullone che non si interessa di come è andata a finire. Magari un piccolo click ci porta a impegnarci in una cosa successiva, ma la maggior parte delle cause richiede più di un semplice click. Soprattutto, se questi click non producono azione e cambiamento, c’è il rischio di diventare cinici e smettere di crederci. Perciò anche se qualcuno usa i social media come parte della propria strategia di cambiamento non vuol dire che li stia usando strategicamente. Ci sono tanti modi di perdere tempo in campagne che non cambiano niente. E non dipende dal fatto che gli strumenti sono inefficaci, ma perchè vengono usati male. Per essere efficaci quei click vanno collegati alle opportunità quotidiane di reagire off-line alle ingiustizie di cui siamo testimoni ogni giorno. Un solo click non basta.

Emergency: I conti di Wikipedia

Wikipedia sì, Wikipedia no. Chi paga la cultura libera online?
Arturo Di Corinto
per Emergency
di Gennaio 2012

Wikipedia è la più grande enciclopedia online al mondo. È libera e gratuita e per questo oggetto continuo di controversie e critiche, soprattutto da parte dell’establishment culturale tradizionale il cui ruolo è stato terremotato dalla sua diffusione planetaria. Scritta ogni giorno da migliaia di volontari in tutto il mondo dal 15 gennaio 2001, oggi è realizzata in 282 lingue diverse. Due i punti di forza: il software di pubblicazione, un software wiki, da cui il nome, che consente a tutti di creare nuove voci e di editare quelle già pubblicate, e le sue licenze virali – la Gnu Free Documentation License e la Creative Commons – che consentono di fare qualiasi uso del sapere in essa incorporato, a patto di attribuirne la paternità a Wikipedia stessa e di non cambiare la licenza con cui quel sapere è stato reso accessibile.
Considerata la migliore del mondo nel settore scientifico, soprattutto nei settori del copyright, telecomunicazioni e crittografia, Wikipedia è detta superiore alla Enciclopedia Britannica grazie al carattere partecipativo di un sistema di revisione basato su versione successive sempre online dello stesso lemma.
Una delle critiche di cui é oggetto è che continua a chiedere delle donazioni, pur avendo un esercizio finanziario in positivo. Le donazioni, fatte dai capitoli locali della Wikimedia Foundation, accusata di non essere in questo trasparente, sono discusse nell’Assemblea Generale che pubblica il budget e i conti annuali. Perciò la trasparenza è la regola e le donazioni servono a pagare l’hardware, la banda e lo staff tecnico.
La domanda da farsi é un’altra: un “servizio pubblico” come Wikipedia che rende accessibile a tutti e gratuitamente, il tesoro della conoscenza, ha diritto o no a finanziamenti diretti da parte delle istituzioni? C’é crisi, dicono. Ma allora non sarebbe il caso di rivedere i finanziamenti pubblici a enti culturali, quotidiani e fondazioni che sono meno noti, usati e citati di Wikipedia? www.wikipedia.org

L’Internet Forum scrive a Mario Monti

L’Internet Forum scrive a Monti
“Più digitale contro la crisi”
Gli attori che si battono per lo sviluppo del web in Italia, riuniti a convegno a Trento fino a domani, scrivono al neo senatore a vita chedendogli di affrontare quello che definiscono “lo spread digitale” in un paese che si vuole moderno di ARTURO DI CORINTO
per La Repubblica del 11 novembre 2011

TRENTO – “Gentile professore Mario Monti, non abbiamo bisogno di ricordarle l’importanza di Internet, spazio di libertà globale, strumento di organizzazione politica e sociale, sostegno indispensabile dell’economia”. Comincia così la lettera/manifesto che i partecipanti all’Internet Governance Forum 1 di Trento hanno deciso di inviare al presidente del consiglio in pectore per chiedergli un deciso intervento a favore dell’economia e della società digitali. Un’idea nata all’inizio dei lavori del forum (che si conclude a domani) e che ha acquistato consensi man mano che gli incontri procedevano. E l’Internet Governance Forum di Trento era proprio il contesto ideale per una iniziativa di questa natura visto che da quattro anni raccoglie a convegno l’intellighenzia digitale del paese – quest’anno con oltre 22 panel e 100 relatori, esperti e terorici della rete, blogger e giornalisti, hacker e Internet provider. Continua a leggere L’Internet Forum scrive a Mario Monti

Emergency: Facebook contro tutti

logo_emergencyFacebook vs. World Wide web. Il famoso sito sociale si rinnova e sfida l’open web
Arturo Di Corinto
per Emergency – il mensile, novembre 2011

Facebook, Facebok, Facebook. Un tormentone, sulla stampa e nei tiggì. D’ora in avanti sarà possibile condividere con i propri amici su FB non solo testi, video, foto, ma musica, film, giornali, programmi tivvù, dall’interno della sua piattaforma, senza navigare altrove. Uno strumento che facilita la condivisione di contenuti e le relazioni fra le persone è sicuramente utile, ma con Facebook questo avviene a patto di un un compromesso rilevante: la superficialità delle relazioni, la perdita della privacy e il sovraccarico informativo. La facilità di aggiungere persone al proprio network di relazioni con un colpo di click, ha scatenato la gara a chi aggiunge più amici al proprio carnet. Il risultato è un numero di contatti ingestibile psicologicamente, ma accettabile nella logica di Facebook, fast-food dell’informazione e piedistallo da cui parlare al “mondo”. La banalizzazione dei rapporti umani che scambia la qualità con la quantità é la spia di due fenomeni della “modernità liquida”, il precariato e la solitudine, dove esibizionismo e voyeurismo si mescolano in una logica televisiva che non lascia scampo: se non stai nel network non esisti. Ma quando non é così- ci sono molti gruppi che lo usano per campagne sociali – c’è qualcosa di ambiguo nel successo di Facebook che non ha a che fare né con gli investitori né con la (troppa) stampa a favore. E’ la presa emotiva che ha avuto su tutti noi che cerchiamo conferme, affetto, legami e cose da fare con gli altri. Il rischio di Facebook è l’omofilia, quella brutta abitudine di cercare solo i nostri simili, di parlare con chi ci somiglia, di interessarci solo a chi ci è vicino. L’omofilia minaccia di impoverire la biodiversità che ha reso Internet la più grande agorà pubblica della storia umana e per questo un grande strumento di pace e di sviluppo. Scoraggiando il web-surfing, Facebook fa di tutto per tenerti dentro e sostituirsi al world wide web, il primo, vero e persistente social network digitale della storia umana che ha compiuto vent’anni il 6 agosto del 2011. Durerà?

L’Espresso: Precari, è rivolta sul web

logo_espressoPrecari, è rivolta sul web
di Arturo Di Corinto
per L’Espresso del 3 novembre 2011

Un progetto on line chiamato WikiStrike. Per riunire tutti i lavoratori senza diritti e sottopagati. Confrontandosi sul «nuovo schiavismo». E sognando «il primo sciopero mondiale dell’era digitale»

“Guadagno 500 euro al mese rispondendo al telefono, affitto il desk e faccio fattura come un notaio”. “Sono laureata in comunicazione, e passo di lavoretto in lavoretto da tre anni”. “Pensa, lavoro in una società di recupero crediti e mi rinnovano ogni mese”. “Collaboro saltuariamente con un grande giornale, mi pagano 50 euro a pezzo. E sono fortunato”. La disoccupazione giovanile ha toccato vette del 30% e spesso l’unico modo per procurarsi un reddito è di accettare dei “macjob”, lavori precari, sfruttati e malpagati. La precarietà è una brutta bestia. Non ti permette di progettare, di pensare al futuro, di immaginarti adulto. Ti fa andare in depressione. O scoppiare di rabbia. E’ per questo che anche i giovani ricominciano a parlare di lavoro. Soprattutto in rete.
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L’Espresso: Linuxday 2011

logo_espressoIl pinguino compie gli anni.
Linux, il libero software in festa
Arturo Di Corinto
per l’Espresso
del 20 Ottobre 2011

Linux ha compiuto vent’anni e il 22 ottobre la comunità che gli ruota intorno ne festeggerà il compleanno al LinuxDay (http://www.linuxday.it). L’evento, giunto alla sua undicesima edizione, si tiene in 109 città italiane (Milano, Parma, Rimini, Fabriano, Urbino, Pescara, Napoli, Barletta, Potenza, Taranto, Palermo, Cagliari, eccetera eccetera). Nato per una felice intuizione della Italian Linux Society nel 2001, per promuovere Linux e il software libero, è sempre stato organizzato attraverso i LUG (Linux User Group) e spesso nelle facoltà di ingegneria, ma oggi viene festeggaito nei dopolavori ferroviari, nelle scuole medie e nei palazzi della politica di comuni e province. Insomma, prima era una roba da universitari e smanettoni, oggi, nel 2011, il Linux Day viene festeggiato persino all’Asilo Occupato dell’Aquila che aspetta di essere ricostruita. In diversi luoghi prevede la commemorazione di Dennis Ritchie, inventore del linguaggio C e sviluppatore della prima versione di Unix, da poco scomparso, ma non di Steve Jobs, fieramente avversato da una comunità che ha fatto della libertà di modifica del software la sua stessa ragione d’esistenza. Dicono gli organizzatori del Linux Day di Sommacampagna: “La tecnologia è sempre più oppressiva e sempre più strumento di un élite che ci vuole consumatori e schiavi? Eppure, nelle mani ‘giuste’, la tecnologia diventa strumento di liberazione. Linux e il software libero permettono a utenti anche non smanettoni di impadronirsi di tecnologie ostiche, consentendo loro di affrontare ‘ad armi pari’ il sistema consumistico.” Molte le tematiche che verranno affrontate nei talk e nei workshop di questa “festa nazionale” insieme a personaggi eminenti della cultura libera. A Parma è previsto il videosaluto di Richard Stallman e il videomessaggio di Eben Moglen, Il linux day di Torino, conta uno dei programmi più densi su scuola, applicazioni e videogames ed è stotto il patrocinio di Comune e Provincia, a Bologna si parlerà di Linux e Computer Forensic con Stefano Fratepietro, e di interoperabilità con Renzo Davoli, sotto il patrocinio del comune e del CNR, di trashware e didattica a Sommacampagna e via dicendo. Quasi ovunque sarà possibile installare un nuovo sistema operativo basato su Linux al posto di Windows.

Perché tanto clamore intorno a un pezzo di software? Perché Linux ha rivoluzionato il mondo dell’informatica, anche se la sua storia é meno nota di come dovrebbe. Linux è il nome del cuore (il kernel) del sistema operativo libero più famoso del mondo, GNU/LInux, è il concorrente del software di Microsoft, superiore per diffusione a quello di Apple e vero protagonista di Internet. Continua a leggere L’Espresso: Linuxday 2011

L’Espresso: Dove va la rete

logo_espressoDove va la rete
Arturo Di Corinto
per L’Espresso del 13 Ottobre 2011

La rete è una risorsa scarsa. Anche se pensiamo ad essa come una commodity, al pari di acqua e luce, non è scontato che funzioni sempre e che arrivi dovunque e a chiunque. Affinché la rete possa evolvere come un bene comune accessibile a tutti, le Nazioni Unite hanno rinnovato il mandato dell’Internet Governance Forum (IGF), per discutere le modalità più efficaci per mantenerla libera, stabile ed efficiente attraverso il concorso paritario di governi, cittadini, associazioni e imprese.
Tutti sono ormai consapevoli che gli utenti della rete aumentano in maniera esponenziale e così i dispositivi per accedervi, spesso in mobilità e via cloud, insieme alla domanda e all’offerta di servizi che ci permettono di fare più cose, che però rendono più facile replicare certe dinamiche della real life: truffe, aggressioni, discriminazioni, mobilitazioni e proteste. Pericoli e opportunità che vengono sfruttati dagli Stati in chiave diplomatica e di politica estera, dalle imprese in chiave commerciale e finanziaria, e da entrambi in termini di controllo delle masse e manipolazione dell’opinione pubblica. Perciò l’ultima edizione di settembre dell’IGF in Kenya ha assunto una peculiare connotazione politica. Da una parte, la forte presa di posizione dell’Europa che con il commissario all’agenda digitale Neelie Kroes ha chiesto regole chiare e precise per l’integrità, lo sviluppo e l’apertura della rete invitando gli stati all’autoregolamentazione e alla tutela di Internet; dall’altra la proposta dei paesi emergenti, India, Brasile, Sud Africa, per la creazione di un organismo in seno all’ONU che stabilisca le policy globali di gestione di internet, regoli le dispute e intervenga in caso di crisi (come le interruzioni della rete). In mezzo, le proposte dei cittadini per una rete libera da ogni condizionamento: internetrightsandprinciples.org

La Repubblica: Democrazia, rivolte e libertà. Il web sceglie il suo futuro

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Democrazia, rivolte e libertà. Il web sceglie il suo futuro
Fino al 30 settembre la comunità mondiale si incontra a Nairobi all’insegna dello slogan ” Internet come catalizzatore del cambiamento: accesso, sviluppo, libertà e innovazione”. Uno scenario che dopo le rivolte africane non sarà più lo stesso di ARTURO DI CORINTO
per Repubblica del 27 settembre 2011